Il tritolo è già a Palermo

Manette per l’avvocato Marcatajo dopo il racconto del pentito Galatolo: vendette 30 box auto, parte dei proventi fu usata per acquistare il tritolo da usare contro il pm della trattativa stato-mafia, Nino Di Matteo. L’ordine direttamente dal super latitante Messina Denaro. Del progetto di uccidere con una strage, il pm Di Matteo, ha parlato in questi mesi il pentito, raccontando particolari che chiudono il mosaico e rendono leggibile il connubio tra la mafia e uomini dei servizi. Nelle intercettazioni della Guardia di Finanza emergono informazioni importanti ai fini dell’indagine per smascherare i legami e le omertà, nonché i depistaggi disseminati lungo tutto il percorso della procura di Palermo.

“Tutti questi signori attingono da questa minna (mammella ndr) sia come denaro che come credibilità”. Parole di Marcello Marcatajo, avvocato civilista della Palermo bene, arrestato in questi giorni nella sua villa di Mondello dalla Guardia di Finanza, accusato di riciclaggio aggravato dal favoreggiamento alla mafia. Un colletto bianco al servizio di Cosa Nostra che cura la vendita di box auto, circa trenta, al prezzo di 500 mila euro. Metà di quella somma, circa 250 mila euro, è servita per pagare il tritolo ripescato nella stiva della nave affondata al largo della Calabria. Un enorme quantitativo di esplosivo che sarebbe servito per compiere la strage contro il pm Di Matteo. Ordine dato più volte da Totò Riina, rinchiuso nel carcere di Opera, che diceva che Di Matteo deve fare la fine del tonno. Ma l’uccisione del pm è stata anche ordinata al super latitante Messina Denaro.

Il pentito Vito Galatolo, mafioso dell’Acquasanta, una delle famiglie più importanti di Cosa Nostra, ha raccontato che l’ordine di assassinare il pm della trattativa Stato-mafia, era scritto in una lettera che proveniva direttamente da Matteo Messina Denaro. Dopo le rivelazioni, sono scattate le ricerche del tritolo, ma fino ad ora senza risultato. “Questi per ora, (riferito ai pm) hanno altre cose da spiare, e figurati: tritolo, cazzi e mazzi…” dice in questi giorni l’avvocato Marcatajo non immaginando di essere intercettato. Si sente invincibile e parla a ruota libera anche di cose futili, come quando dice di essere stato il supplente di Piersanti Mattarella all’università di Palermo negli anni 1970. Ma parla anche dei suoi legami con i clan mafiosi: ”io dal 2013 faccio atti anche importanti di compravendita con Francesco, c’è tutto un rapporto” riferendosi a Francesco Graziano, figlio di Vincenzo, il reggente del mandamento di Resuttana che, secondo il pentito Galatolo, custodiva il tritolo per uccidere Di Matteo.

Dalle carte sequestrate in casa dei Graziano, emerge il collegamento con l’avvocato che ha un ruolo di primo piano nella gestione dei soldi dei clan. “Vai dall’avvocato e digli: mio marito vuole i soldi…” ordinava Graziano dal carcere durante i colloqui con la moglie Maria Virginia Inserillo. Dalle intercettazioni emerge un quadro chiaro e definito sui traffici delle cosche mafiose che si muovono tra la toscana, Roma, il Bahrein e la Romania. Tracce che i pm seguono anche per scoprire dove giace il vero tesoro di Cosa Nostra. Tutte le piste portano all’estero, dove si sono intrecciati legami con la malavita locale e con gli apparati finanziari per proteggere e occultare milioni di euro difficilmente rintracciabili.

Il tritolo per Nino Di Matteo è nascosto da qualche parte, molti pensano che non si trovi perché la custodia è affidata a clan legati ai servizi, l’unica certezza è che la vita del pm  è in pericolo e le Istituzioni, quelle con la I maiuscola, ancora non si muovono per costruire un sistema di protezione efficace. I buchi nella sorveglianza del palazzo di giustizia di Palermo sono vistosi, e la percezione del pericolo è più reale nelle coscienze dei cittadini che negli uomini dello Stato. Nino Di Matteo e i pm di Palermo aspettano ancora un segnale dal Colle sul riconoscimento del loro operato. Non lo ha fatto Re Giorgio (Napolitano ndr) che era parte in causa, volgiamo sperare che il Presidente Mattarella sia più sensibile alle minacce per Di Matteo e per i suoi colleghi e dica una parola che rompa l’isolamento Istituzionale, creato ad arte nei confronti dei pm della trattativa Stato-mafia.

di Claudio Caldarelli

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