Cinema. “Ave Cesare!” , l’omaggio dei fratelli Coen all’età d’oro di Hollywood

Barbara

Brillante commedia sullo star system anni 50’, fra capricci dei vip e set cinematografici.

Los Angeles, 1951. Splende un nuovo giorno sulle colline di Hollywood, alla Capitol Pictures, casa cinematografica stabilmente affidata alla conduzione di Eddie Mannix. Se non fosse per lui, tutto andrebbe a rotoli sui set. La sua missione è salvare “Ave Cesare!”, il kolossal su cui la casa cinematografica investe tutte le proprie speranze, poiché nelle case degli americani sta per approdare la promettente tv. Ma alla Capitol Pictures si scommette ancora sul cinema di qualità, ed è proprio Eddie Mannix il primo investitore del progetto, non solo come “fixer” della società, ma sacrificando tutta la sua vita per salvaguardare la serenità dei suoi dipendenti. Grazie alla sua integrità, pazienza e furbizia Mannix tiene polso ad attori, giornalisti, membri dello staff e persino a dei ricattatori comunisti. Dirigere una casa cinematografica, d’altronde, è una sfida che richiede nervi saldi, soprattutto nell’era dello star system, una fase che ha segnato indelibilmente la storia del cinema americano. I fratelli Coen, allo stesso modo, raccolgono la sfida nel raccontare questa grandiosa era, in cui il cinema ruota intorno a delle icone, gli attori, su cui fondare il proprio successo, in termini di merchandising e di vendite al botteghino. La novità della pellicola, però, consiste nella leggerezza con cui i registi riescono a raccontare non solo una trama avvincente, ma soprattutto un periodo molto complesso della filiera cinematografica. Il risultato è piacevolmente godibile, ci si trova di fronte ad una narrazione che scorre leggera, ripercorrendo le vecchie glorie dei generi western, musical, peplum e dei polpettoni borghesi cogliendone aspetti nuovi, esilaranti. Lo scambio di battute è infatti brillante, pone l’accento sui paradossi di un universo cinematografico fittizio, in cui fra gli attori vigevano ruoli fissi, sugellati da un vero e proprio contratto con la casa di produzione. Criteri di sfruttamento dell’immagine che, in alcuni casi, si rivelarono delle vere e proprie costrizioni, soprattutto per quanto concerne la conduzione della vita privata degli attori. Questo aspetto, per esempio, è ripercorso nello sketch del mandriano Hobie Doyle, nella divertentissima gag in cui è costretto dai produttori ad assumere il ruolo di un debuttante, parte mai impersonata prima. “Non ho mai recitato al di fuori di un western!”-“I produttori hanno deciso così, stanno cambiando la tua immagine!”: è la casa cinematografica che decide sugli attori, come vere e proprie pedine per i suoi scopi. C’è chi nel cinema, però, vede una cospicua fetta dell’economia americana. Proprio per questo The Future, un collettivo comunista di sceneggiatori sfruttati, si rivolta allo strapotere delle majors, privando la Capitol Pictures del suo alfiere, la star  Baird Whitlock. Eddie Mannix, senza perdere la sua compostezza, scansa tutti gl’impedimenti che lo distraggono dall’ultimare Ave Cesare!, l’unico modo per far sopravvivere la sua major. È Mannix il burattinaio di questa sgangherata orchestra fra le patinate riviste scandalistiche che fiutano lo scoop, i ricatti degli esasperati (e mal pagati) sceneggiatori, nonché i capricci delle star e l’incompetenza professionale di molte di loro. È lui la vittima di un sistema, non lo sfruttatore, in cui, qualsiasi cosa succeda c’è un solo leitmotiv da assecondare: “lo spettacolo deve andare avanti!”.

di Barbara Polidori

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