Il sangue della Turchia

La Turchia sanguina di nuovo. E la ferita viene inferta ancora una volta sul cuore dello stato: la sua capitale Ankara. L’autobomba lanciata contro i pullman di una stazione del centro ha portato ad un bilancio di 35 morti e oltre 125 feriti. Non è trascorso nemmeno un mese dall’ultimo attentato, sempre nella stessa città, del 17 febbraio, costato la vita a 29 persone.
Sanguina la capitale, continuano a sanguinare anche le coste. Più di cento persone hanno perso la vita sulle spiagge della penisola anatolica solo in questo inizio 2016, quasi la metà sono bambini.
E quelli che riescono a sopravvivere al tragico viaggio in mare si trovano davanti ai cancelli chiusi delle frontiere. Delusione e frustrazione che degenerano in proteste e ribellioni. A porre rimedio ad una situazione tesa e delicata è arrivato l’accordo tra Unione Europea e Turchia.
Un’intesa che porterebbe nelle casse dello stato di Davutoglu ben 6 miliardi di euro (il doppio della cifra inizialmente stanziata). Soldi che servirebbero alla costruzione di centri di accoglienza e di identificazione. Soldi, in realtà, che andranno a gonfiare le casse di un paese ambiguo. Che in attesa dei fondi europei porta avanti la gestione dei profughi nel modo che più gli è comodo: con la violenza.
Nelle mani del corrispondente della Bbc, Mark Lowen, è finito un video scioccante: un gommone carico di immigrati, partito dalle coste turche per raggiungere la Grecia, è stato intercettato dalla Guardia Costiera di Istanbul ed è stato coperto di bastonate. “Abbiamo eseguito gli ordini, facciamo di tutto per fermare le imbarcazioni senza fare del male alla gente a bordo” ha commentato un portavoce, ignaro che l’aggressione fosse stata ripresa.
Insomma, chi fugge viene massacrato. Chi prova ad arrivare perde la vita in mare. E chi riesce ad entrare nel paese? Un’inchiesta del giornale inglese Indipendent, rivela che i profughi siriani (e tra questi soprattutto i bambini) accolti dallo stato sono sfruttati come schiavi in stabilimenti di industria tessile. 95 euro al mese, questo il loro salario.
Doveva essere il luogo d’incontro tra occidente e oriente. Oggi la Turchia, invece, è soprattutto terreno di scontro, di guerra, di separazione. Aldilà dei confini sigillati, insieme ai profughi siriani, c’è anche un popolo intero: quello dei curdi. Forse dietro l’attentato di Ankara c’è l’ala più estremista del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan. In attesa di conferme ufficiali, Erdogan ha iniziato a bombardare la loro zona.
Sono oltre cento le vittime del raid punitivo. La guerra delle cifre, dei numeri, di chi ne uccide di più è destinata a continuare.

di Lamberto Rinaldi

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