La strage impunita di Pizzolungo

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Il boato che echeggiò il 2 aprile del 1985 lungo la statale che attraversava il paese di Pizzolungo, fu sentito, come raccontarono i testimoni, a distanza di molti chilometri. Un attentato con il quale Cosa nostra avrebbe voluto eliminare il magistrato Carlo Palermo che, quel giorno, stava transitando, sotto scorta, in quel tratto di strada.
Il fato aveva, però, deciso diversamente.
Una giovane mamma di nome Barbara, su un’utilitaria, uscita da poco da casa con i suoi due gemellini, Salvatore e Giuseppe, si era trovata, per un caso assolutamente fortuito, a passare accanto all’auto su cui era il magistrato, mentre una mano maledetta premeva il pulsante per far esplodere quell’angolo di mondo. L’utilitaria guidata da Barbara Asta ricevette in pieno l’onda d’urto creata dallo scoppio. La madre fu sbalzata fuori dall’auto, mentre i corpi dilaniati dei due bambini furono scaraventati lontano. Una macchia, indimenticabile, sul muro di un palazzo restò a testimonianza del volo compiuto da uno dei due gemelli, altri resti furono rinvenuti tra il dolore, le lacrime e la rabbia di chi si era recato subito sul posto.
Una strage rimasta fino ad oggi impunita.
I nomi dei mandanti, volti senza pietà né vergogna, sono nomi di chi spesso è comparso in aula con imputazioni che ne raccontano la crudeltà. Condannati all’ergastolo sono stati Totò Riina, Vincenzo Virga, Baldassare Di Maggio, mentre assolti sono stati gli uomini ritenuti gli esecutori materiali della strage. Non è chiaro ancora oggi chi voleva realmente la morte di Carlo Palermo che era stato trasferito in Sicilia da Trento da soli due mesi. Nel mese di febbraio era arrivato in Sicilia e nel mese di Aprile vi fu l’attentato. Perché? Potrebbe essere lecito domandarsi: per conto di chi? Perché uccidere un magistrato, per quanto valido, appena “sbarcato” sull’isola? Carlo Palermo a Trento, prima del trasferimento, si stava occupando di traffico d’armi e droga e delle commistioni tra questi due importanti canali di profitto e delinquenza. Dopo il trasferimento è subito coinvolto nell’attentato e costretto ad allontanarsi. Gli propongono anche di andare a vivere sotto falso nome in Canada. Per proteggerlo …
La verità attende ancora di essere svelata.
E’ certo solo che, come ricorda Margherita Asta, unica sopravvissuta, all’epoca ancora bambina, quel giorno furono polverizzati nell’esplosione la sua mamma, Barbara, con i suoi due fratellini e che lei dall’età di dieci anni in poi è dovuta crescere senza l’amore e il calore di quelle vite spezzate. Ed è  anche certo che da quel 2 aprile 1985 ad oggi non si è riusciti a fare luce sul perché Cosa nostra, con i suoi mostri, quel giorno ha seminato tanto dolore.

di Patrizia Vindigni

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