La Renault rossa di via Caetani

Salvo

Tanti chissà, pochi perché: il caso Moro 38 anni dopo

Chissà come sarebbe cambiata la storia se quel 16 marzo del ’78 il destino di Aldo Moro fosse sfuggito a quello dei suoi rapitori. E chissà come sarebbe potuta cambiare la sua sorte se Cossiga e Andreotti non si fossero opposti così fermamente alle richieste dei brigatisti. Chissà. Anche perché, da allora, di Moro abbiamo solo una fotografia e nulla più. Gli attimi successivi al rapimento sono solo fotogrammi di cui lui è attore non protagonista.
Il suo ruolo diventerà tristemente centrale due mesi dopo, il 9 maggio, quando il fotogramma uscirà dai rullini e si materializzerà in un’auto; «una Renault 4 rossa, [i cui] primi numeri sono N5», come dirà la voce del sedicente “dottor Nicolai”, alias Valerio Morucci, nella fredda telefonata a un assistente dello statista.
“Doveva morire” è il titolo del libro del giudice Ferdinando Imposimato e, manco a dirlo, è anche la sua opinione. Moro doveva morire perché era di intralcio alle ambizioni politiche e private dei suoi compagni di partito, tra cui i “fermi” Cossiga e Andreotti, capaci a suo avviso di indurre il generale Dalla Chiesa a desistere dall’operazione militare di salvataggio.
«Sapevo di averlo condannato a morte», ammetterà più tardi lo stesso Cossiga, ancora convinto di aver fatto la scelta giusta per salvaguardare la dignità dello Stato. Valore che, nelle sue parole, Moro aveva ormai smarrito, perché «non valeva l’interesse del suo nipotino Luca». L’ipotesi della regia dietro il sequestro delle Br è, entro quest’ottica, opera di “scribacchini”, e somiglia un po’ alla risposta che anni dopo Fabio Savi darà a chi gli chiedeva per conto di chi agisse la sua banda: «Dietro la Uno bianca c’è soltanto la targa, i fanali e il paraurti».
Chissà allora perché il giornalista Mino Pecorelli aveva individuato perfino il giorno esatto del rapimento (15 marzo, poi posticipato di ventiquattro ore) addirittura un anno prima. E chissà perché il pentito della Banda della Magliana Maurizio Abbatino abbia raccontato di incontri tra lui e l’onorevole Piccoli per individuare il covo in cui era detenuto Moro. Tutti chissà che aspettano ancora un “perché”, ma che nel mentre creano solo un oceano di “forse”.

di Massimo Salvo

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