Di Bartolomei, un colpo al cuore

Salvo

A 22 anni dalla morte di Ago

«A me piacerebbe che i ragazzini imparassero da piccoli ad amare il calcio, ma non prendendo a modello alcuni dei miei capricciosi colleghi». Forse è tutta qui la chiave della tragica fine di Agostino Di Bartolomei, in questa frase detta un giorno per caso, in un’intervista, quando le cose sembravano andar bene. I “ragazzini” a cui si riferiva erano quelli della sua scuola calcio, fondata a San Marco di Castellabate, il paese natio della moglie in cui si era trasferito subito dopo il ritiro dal calcio giocato.

Una vita spesa per la Roma. “Dibba”, o più semplicemente “Ago”, aveva infatti indossato la casacca giallorossa dal ’72 all’’84 (intermezzati da una stagione al Vicenza), condividendo con essa gioie e dolori. Gioioso era stato, ad esempio, lo scudetto conquistato l’8 maggio ’83, il secondo della storia romanista; doloroso, al contempo, era stato il verdetto del 30 maggio dell’anno seguente, quando il Liverpool strappava ai rigori l’allora Coppa dei Campioni dopo gli errori di Conti e Graziani.

Da allora solo tre squadre per Dibba, di cui l’ultima dai colori vagamente simili alla Roma: quella Salernitana alla quale nel ’90 regalò la promozione in cadetteria dopo ben 23 anni di assenza, divenendone icona a sua volta. Seguì una breve carriera da opinionista per la Rai durante i Mondiali di calcio dello stesso anno, poi il ritiro a Castellabate, non distante da Salerno.

Qui Dibba finì per isolarsi, aiutato suo malgrado dall’egoismo altrui, quel «mondo coglione [che] piange il campione quando non serve più»: mai parole furono più appropriate come quelle di “Tradimento e perdono”, la canzone che Antonello Venditti gli ha dedicato nel 2007. Forse la solitudine, il “buco chiuso” al quale egli stesso fece riferimento in un biglietto, o forse ancora dei prestiti mai riottenuti: sta di fatto che un giorno Dibba raggiunse il balcone, puntò una pistola al petto e chiuse gli occhi per sempre.

Era il 30 maggio 1994. Non una data qualsiasi, perché correva il decennale dall’amara sconfitta col Liverpool. Quella che avrebbe potuto segnare un viatico nella storia giallorossa e, chissà, anche nella vita di Ago. Invece ne segnò l’epilogo. «Se ci fosse amore per il campione – sottolinea ancora Venditti – oggi saresti qui. Ricordati di me, mio capitano, cancella la pistola dalla mano: tradimento e perdono fanno nascere un uomo, ora rinasci tu. Quel sorriso sgomento, anche se hai vinto, non mi tormenta più».

di Massimo Salvo

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