Dati negativi, per i lavoratori dipendenti

Guido faloci

C’era una volta il cuneo fiscale…e c’è ancora (più di prima)…

C’era una volta un Presidente del Consiglio che era stato eletto, per la seconda volta, nonostante una campagna elettorale poco esaltante, a dispetto di leggi elettorali suicide (approvate ad hoc) e nonostante uno strapotere mediatico del capo della coalizione avversa. Quell’uomo, dall’eloquenza un po’ soporifera, aveva tante doti pratiche, poiché nato da una modesta famiglia, diveniva docente, poi evolveva in tecnico ed infine si dedicava alla politica.

Costui, in tempi non sospetti, ovvero quando la crisi era ai primordi, dopo aver lavorato (anche discutibilmente) a risanare un poco i conti pubblici, una sera annunciò che a seguito di quei mesi di lavoro, finalmente lo Stato Italiano aveva ricominciato a produrre un certo “avanzo primario”, cioè un surplus economico tra quanto incassato e quanto speso, dalla finanza pubblica. Quel surplus, chiamato Tesoretto, quell’omino dalla faccia pretesca annunciò volerlo investire nella riduzione del cosiddetto “cuneo fiscale”, per ridare potere d’acquisto agli stipendi dei lavoratori dipendenti e alleviare la pressione fiscale nelle imprese.

Era l’ottobre dell’anno 2006 e quell’uomo, Romano Prodi, già allora aveva ben presente cosa servisse al paese per rilanciarne l’economia: tassare un po’ di più la ricchezza, redistribuendo quanto incassato a chi faceva realmente impresa ma, soprattutto ai comuni cittadini, semplicemente riducendo il carico fiscale, sul lavoro dipendente. Tutto ciò, avrebbe migliorato il potere d’acquisto dei bassi stipendi italiani, sostenendo il consumo interno ed avrebbe dato una migliore competitività soprattutto alle piccole e medie imprese, alle quali l’elevata fiscalità sul lavoro, rappresentava e rappresenta ancora un disincentivo all’assunzione in chiaro.

Come finì, è ormai storia: pugnalato alle spalle dalla sua stessa coalizione (per la seconda volta!), cadde il suo governo e con lui quella semplice ricetta, ovvero ridistribuire alla spina dorsale dell’economia, parte della ricchezza concentrata in poche mani.

A distanza di quasi dieci anni, dopo che si sono succeduti diversi governi, sia di centrodestra, sia tecnici e sia di centrosinistra, ci si può accorgere di quanto sia desolantemente peggiorato il panorama economico italiano, in materia: solo dal 2010 al 2015, il cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti è passato dal 47,2% al 49%, contro un 35,9% della media dei 34 paesi OCSE. E, tale disparità, in questi dieci anni è anche aumentata di ben un punto percentuale (dal 12,1 del 2010, al 13,1 del 2015). Pur avendo altri quattro paesi, in cui la tassazione del lavoro è più alta di quella italiana, in essi le retribuzioni sono quasi sempre molto più elevate delle nostre.

Proprio guardando le retribuzioni, vediamo che quella media dei paesi OCSE, è superiore di 3074 dollari a quella italiana e che l’aumento di quest’ultima, negli ultimi cinque anni, è stato inferiore di ben 1226 dollari, sempre rispetto a quella di tutti i 34 paesi.

Correva l’anno 2007, quando l’allora Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, pubblicamente declamava al plaudente uditorio di Confindustria, che poiché le retribuzioni italiane erano tra le più basse d’Europa, era giunto il momento che in sede di rinnovo contrattuale se ne tenesse conto, perché senza una crescita adeguata degli stipendi italiani, la domanda interna ne avrebbe fortemente sofferto ed i consumi sarebbero calati (cose che puntualmente sono avvenute). Se oltre agli applausi gli imprenditori avessero fatto seguire dei rinnovi contrattuali meno ridicoli, forse non avremmo dovuto confrontarci con certi dati.

Alla luce di tutti questo e ben tenendo presente quanto poi avvenuto, forse sarebbe il caso di valutare diversamente, le cause della lentezza della ripresa economica italiana: probabilmente, con una minore tassazione del lavoro ed una maggiore del capitale, non ci troveremmo a questo punto.

Se gli stipendi fossero meno tartassati e gli imprenditori non dovessero salassarsi per il costo del lavoro, avremmo una maggiore competitività del sistema produttivo italiano ed una minor “disperazione” da parte dei lavoratori dipendenti, che non arrivano a fine mese, pur non potendosi permettere molte delle cose di cui hanno bisogno.

E se la regalia degli 80 euro di Renzi, può essere anche vista come un primo passo in tal senso, di certo questa non è né una soluzione esaustiva.

di Mario Guido Falci

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