Siamo Giovanni Falcone, oltre il 23 Maggio

Coordinatrice di Redazione

Ci sono tutti, come tutti gli anni. Arrivano in processione, contriti, ufficiali, istituzionali. Una doverosa commemorazione. Stringono mani, rilasciano dichiarazioni di intenti, beatificano, santificano perché, si sa, ai Santi qualche riverenza si può anche concedere ché tanto sono ben lontani da noi. È ai vivi che non si deve cedere, mai.
Accade ogni anno, da quel maledetto 23 Maggio 1992. Da quando il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta, Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo sono stati fatti saltare in aria da Cosa Nostra. Nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo, l’inno di Mameli risuona a trombe spiegate. Che lo spettacolo abbia inizio! In scena quest’anno il ministro degli Interni, Angelino Alfano, il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, quello della Giustizia, Andrea Orlando, il sottosegretario all’Istruzione, Davide Faraone e ancora, il Presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, il Procuratore Nazionale antimafia, Franco Roberti e il Presidente del Senato, Piero Grasso. E mentre per il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la strage di Capaci ha rappresentato “l’avvio di una riscossa morale, l’apertura di un nuovo orizzonte di impegno”, Renzi estrae dal cilindro delle ovvietà un “Se questo è un Paese un po’ più libero lo deve anche a persone come Falcone e Borsellino”, il Ministro Orlando invoca gli Stati generali dell’antimafia e l’ex Presidente del Senato, Renato Schifani ( che si è visto archiviare nel 2014 un’indagine per concorso esterno a Cosa Nostra) ci rassicura del forte indebolimento della mafia.
La mattina del 24 Maggio, dopo cerimonie, interviste, serie tv, articoli, speciali Tg e quant’altro, Giovanni Falcone è di nuovo un ricordo. Un vecchio ricordo da rimettere in qualche angolo buio e polveroso della nostra coscienza civile, pronto all’uso per il prossimo anno. Un santo laico, uno a cui inginocchiarsi ora, che non può più ascoltare, che non può più agire.
Quando quel Santo laico calpestava la sua terra era un peso. Le istituzioni che ora si beano del suo silenzioso monumento sono le stesse che lo hanno accompagnato per mano verso quei 500 chili di tritolo tra l’emarginazione, la diffamazione, l’isolamento, l’accanimento mediatico, le manovre di palazzo.
Sono quelle che gli hanno impedito di diventare Consigliere istruttore nel 1988, Alto commissario per la lotta alla mafia nello stesso anno, quelle che lo hanno bocciato come Procuratore della Repubblica di Palermo e scartato come candidato al Csm. Sono quelle che si girano dall’altra parte quando la parola tritolo si trova accanto al nome di un magistrato vivo invece che di uno morto. Sono quelle che Di Matteo in Procura Nazionale Antimafia per carità, e che la scorta a Saviano è una cosa inutile. Sono quelle che non distinguono più il limite tra corruzione e legalità, però la mafia va combattuta. Sono quelle che la mafia la combattono ( senza ambizione di vittoria, ovviamente) un paio di volte l’anno a suon di inni nazionali e melense, quanto demagogiche, orazioni. Sono quelle che la mafia la combattono coi morti. I morti che un tempo erano vivi e non chiedevano altro che poter lavorare onestamente. Peccato per quel piccolo dettaglio che li rendeva tanto inadatti alla lotta alla mafia: respiravano!
Ricordare Giovanni Falcone una volta l’anno, celebrarlo, adorarlo, demandare alla memoria e all’edificazione di essa il compito di rendersi parte attiva nell’abbattimento ( e non nella lotta!) alla mafia è un insulto. Un insulto alla memoria di chi ha cercato di insegnarci ad essere liberi, a riconoscerci in un impegno comune e quotidiano lontano dalle luci dei riflettori e dalla sciocca e svuotata adorazione. Mitizzare Giovanni Falcone o Paolo Borsellino significa allontanare dalla nostra coscienza la consapevolezza di quale sia il nostro ruolo in questa nostra battaglia. Nostra, non solo loro. Giovanni Falcone non è una figura eterea, Giovanni Falcone è stato un uomo normale che ha voluto lasciare a questo sciagurato Paese un seme di normalità. Questa è stata ed è la sua grandezza. Non santifichiamo chi non è più con noi, non abbandoniamo chi tenta di indicarci il cammino in questa lunga lotta.
Siamo Giovanni Falcone, oltre il 23 Maggio.

di Martina Annibaldi

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