Gomorra, il best seller internazionale, compie dieci anni

Barbara

Dieci le candeline da spegnere, ma la torta ha un retrogusto amaro: quello delle critiche a Roberto Saviano

Ci risiamo. Ogni qualvolta Roberto Saviano è ingaggiato in un nuovo progetto lavorativo, sistematicamente le previsioni meteo annunciano pioggia di critiche sull’ormai affermato autore di Gomorra. Non appena Saviano comincia a battere a tastiera il suo nuovo libro, l’inferocito paladino della correttezza intellettuale sa che prima poi arriverà il suo momento, in cui potrà finalmente prender parte ad una sassaiola dell’ingiuria nei confronti dell’autore. Non importa si tratti di una comparsata da “Amici”, a “Che Tempo Che Fa”, in radio o in qualsiasi altro format dell’intrattenimento: per il lettore medio Saviano non deve metterci la faccia, perché comunemente etichettato come “falso”. No anzi, come “copione”, parafrasando l’accusa che gli rivolse Il Giornale, sminuendo il successo di un libro che, secondo i giudici della prima sezione civile della Suprema Corte e come ammesso dallo stesso Saviano (seppur in minima parte), sarebbe stato copiato da alcuni articoli appartenenti al gruppo editoriale Libra. La lettera scarlatta marchia indelebilmente l’operato del giovane campano in qualsiasi esperienza intraprenda, che si tratti di piccolo o grande schermo, rubriche o quant’altro. Nonostante il taglio del suo lavoro e l’intrascurabile impatto informativo che può vantare, perfino gli stessi giornalisti non riconoscono Roberto Saviano fra le loro illustri schiere, ma anzi lo millantano di non aver rispettato il sacrosanto valore dell’ingegno – come se poi la maggior parte di loro si fosse mai fatta di questi problemi, quando c’era da consultare il lavoro altrui prima della stesura -.

La gogna mediatica, insomma, non risparmia l’autore di Gomorra, già pressato da una scorta che da dieci anni lo accompagna ovunque vada. Già, dieci anni. Sfido a vivere così tanto senza la libertà di prendere una singola decisione, anche la più stupida, che sia quella di mangiarsi un gelato o fare una gita fuori porta, con la paura di rimanerci secco. Non lo si dovrebbe augurare a nessuno, ma soprattutto nessuno dovrebbe sottostimare la sorte capitata a Roberto Saviano, come una diretta conseguenza di aver osato sfidare la camorra. Eppure, secondo il senatore verdiniano Vincenzo D’Anna, in corsa alle prossime elezioni, la scorta di Saviano rappresenta un vero e proprio spreco di soldi per i cittadini italiani, suggerendo perfino di toglierla. Siamo davvero sicuri che sia questa la politica che vogliamo nel rappresentare la lotta all’illegalità? Distratti dalle critiche e dalle polemiche, sono trascorsi dieci anni dall’uscita di Gomorra, un best seller che ha raggiunto oltre 2 milioni e 250mila copie solo in Italia, tradotto in 52 paesi.

Cifre da capogiro, che si sono estese grazie anche a produzioni televisive di estremo successo, prima con il film omonimo di Garrone e poi con la serie su Sky Cinema. Dieci anni in cui di occasioni per tacere e altre per parlare ce ne sono state, ma a quanto pare il senatore D’Anna non le ha colte. Non sta a noi discutere sulla qualità narrativa dei libri di Saviano, considerando poi che l’ultimo, ZeroZeroZero, è accusato dal Daily Beast e dai suoi redattori di essere copiato in toto, ma l’attuale situazione in cui vive l’autore merita una riga in più.

Roberto Saviano da dieci anni vive sotto scorta per un libro che forse non è un masterpiece letterario, ma che ha portato alla ribalta una cronaca asciutta, incalzante e gelida del nostro paese catapultandola nel mondo, in una formula che ha riscosso successo e visibilità senza precedenti. Come a dire, “sì ok, sapete che in Italia c’è la camorra, ma sapete davvero di cosa è capace?”. Nessuno lo aveva fatto prima, tantomeno in questo modo “Cronache di Napoli” e “Corriere di Caserta”, che rivendicano la paternità dei loro estratti nel libro, giustamente. Da dieci anni abbiamo un faro puntato sul fattore criminalità organizzata, un faro che spesso e volentieri guardava da un’altra parta e che ora, invece, ha un motivo in più per far luce su le trame in cui affossa le mani la camorra, coadiuvata da altre forze ancora in ombra. D’altronde, anche Stendhal, consapevole del suo potenziale, i primi anni della sua formazione letteraria realizzò degli scritti ai limiti del plagio e della traduzione da altre copie della sua epoca. Ma l’ispirazione per la Certosa di Parma fu sua. Ed è soprattutto il modo in cui si raccontano le storie a gremire il pubblico.

di Barbara Polidori

Print Friendly, PDF & Email