Il sogno di Marco

Luca De Risi

Ci sono padri, e madri, che scopri di avere solo dopo, con il tempo. Un tempo ‘genitore’ che ti affilia – in coscienza e consapevolezza – ad una appartenenza più vasta di quella natale. E’ solo con il tempo che si può scoprire d’essere figlio, ad esempio, di ‘idee’ e ‘pensieri’. E’ questo il dono e il ‘segno’ specifico di quella condizione che chiamiamo libertà e a cui ci riferiamo quando intendiamo i valori costitutivi dell’essere Umano. Nascere è un venire al mondo di una irriducibile, continua, possibilità.

E, allora, con la scomparsa di Marco Pannella, quelli che – come me – si sono accorti di stare al mondo in tante delle sue idee di nuovi e più ampi orizzonti del ‘possibile’, legittimamente possono dirsi orfani di padre.

Molti, quasi tutti, in questi giorni hanno ricordato la lunga stagione delle battaglie per i diritti civili di Marco Pannella, i referendum su divorzio e aborto, degli anni Settanta; e ancora la difesa degli omosessuali, la lotta alla partitocrazia, condotta sempre secondo i metodi della non-violenza, la campagna per l’umanizzazione delle carceri.

Io, invece, vorrei andare a ritroso e ripercorrere la sua vicenda personale sul filo di una rara video-intervista rilasciata dallo stesso Pannella nel 2003 al programma RAI ‘Il mio Novecento’, realizzata nella casa di Benedetto Croce a Napoli. Se ha un senso ricordare i ‘meriti’ della sua radicale militanza, forse, ne ha anche di più rintracciare la matrice di quel suo pensare e di quella sua sensibilità.

Moderno e contemporaneo – anzi, anticipatore –  Marco Pannella è stato anche uomo e pensatore antico, la cui formazione è innestata su figure e personalità di quel “Risorgimento liberale – come egli lo definisce – che sa mettersi a servizio della ‘libertà politica contro tutte le scorciatoie”. Le scorciatoie della prassi – quelle del comunismo – o le scorciatoie dell’ideale –  quelle del fascismo.

Tra ciò che ‘deve’ accadere per cieca fede ideologica e quello che può avvenire in risposta di un alato dettato ideale, il giovane liberale Marco Pannella prospetta a se stesso la visione ‘libertaria’ di un accadere nella storia di fatti e circostanze, di visioni e intenzioni, tutti degni di rispetto, pure tutti perfettibili.

Figlio di un ingegnere abruzzese, l’unico laureatosi al Politecnico di Torino con una specializzazione sull’elettricità e di una ‘franzosa’, donna francese “con i capelli corti, la patente di guida, non una parola di italiano”, Marco Pannella nasce tra il Gran Sasso e il mare, il 2 maggio 1930.

In casa Pannella, la madre parla solo francese, il piccolo Marco va alle scuole Montessori, tira di scherma e suona il violino. E’ con il suo insegnante di violino – il professor Righetti, repubblicano e antifascista – che il futuro leader politico condivide l’evento culminante della sua giovane vita. E’ l’estate del 1938 e sulla spiaggia di Giulianova si fa inutile l’attesa di Marco, della sua solita compagna di giochi, Adria. E’ il prof Righetti a spiegargli che la sua piccola amica era dovuta scappare, con la famiglia, perché ebrea. “E’ in quell’estate del ’38, a soli 8 anni – racconta Marco Pannella – che comincia il mio sogno

Un sogno di diritti e libertà che, adolescente, nel 1942, lo porta in Francia nel paese della madre. Tra zii e cugini francesi si discute animatamente di obiezione di coscienza –  il cugino è stato richiamato alle armi dall’esercito occupante – e i genitori litigano sulla scelta da prendere al punto che, per la prima volta, Marco Pannella sente pronunciare anche la parola ‘divorzio’.

C’è un favore nella storia di Marco Pannella – che non corrisponde in alcun modo ad un vantaggio personale, anzi forse è proprio il contrario –  amaro come una predestinazione, in cui sembra convergere nella sua giovane vita il ‘patrimonio’ del più avanzato pensiero liberale.

Non è un caso se già alle medie Marco Pannella legga con avidità il foglio unico de “Il Liberale” il giornale del partito presieduto da Benedetto Croce, né è un caso se negli anni universitari egli si presenti al cospetto dell’insigne filosofo per promuovere una marcia “per Trieste Italiana e liberale”.

E’ lo stesso Marco Pannella a raccontare l’incontro con Benedetto Croce a Napoli: di come è ricevuto con gentilezza e curiosità e di come, una volta presentatosi, è lo stesso Croce – abruzzese anch’egli – a rintracciare lontani legami di parentela tra la sua famiglia e quella del giovane liberale che era andato a chiedere il suo ‘imprimatur’. Il grande filosofo ricordava un omonimo Giacinto Pannella – prozio di Marco – che era stato sacerdote e letterato,  direttore per ventotto anni della prestigiosa “Rivista abruzzese di Scienze, Lettere e Arti” che più volte aveva ospitato i suoi articoli e quelli di Giovanni Gentile.

Siamo negli anni Cinquanta: poco più che ventenne Marco Pannella – giovane iscritto del Partito Liberale Italiano – assiste all’ingresso di Malagodi nel partito: ingresso che, nel bene e nel male, segnerà il destino di quella formazione politica. Dal canto suo, nel 1955 Pannella dà vita alla Associazione della Sinistra Liberale, riunendo i giovani militanti del partito in una struttura che come spiega lui stesso ‘è la ragnatela da cui nascerà, di lì a poco, il Partito Radicale Italiano’.

La storia di Marco Pannella entra a questo punto in un cono di luce da cui ci auguriamo neppure la morte saprà sottrarla. E’ la storia di un protagonista scomodo e tenace, di un uomo che ha lottato non tanto e non solo per i diritti, ma – come ha scritto Umberto Eco – “per insegnarci ad avere diritti e a meritarceli”.

L’uomo Marco Pannella è la fioritura del piccolo Marco, un bambino che aveva un sogno. E’ il sogno di una libertà radicale e inalienabile, è il sogno arditissimo ma irrinunciabile del ‘mondo alla rovescia’ o del rovesciamento maieutico del nostro punto di vista.

E’ il sogno della non violenza, splendidamente incarnato dalle parole di Vitaliano Brancati quando, ne “I Piaceri”, scrive: «verrà un tempo in cui le cose, ritenute comunemente deboli, saranno le più forti; quando l’ultimatum delle margherite, portato da un grillo con un inchino, farà tremare chi lo riceve. La violenza del chiaro di luna: le porte e le finestre si spalancano al suo soavissimo e irresistibile premere come all’urto di un ciclone. I bambini in fasce, con un giro degli occhi ancora liquidi, daranno comandi ai quali sarà impossibile disobbedire. “Formidabile” volo di colombi, al di sopra dei tetti; aquile trepidanti. Chi ha un becco, un rostro, un’unghia, se li nasconde per non farsi fischiare. Il gallo con gli speroni, ficcando la testa coronata entro un piccolo buco, chiede al verme che gli faccia un po’ di posto. Dall’alto della corazzata, guardando dietro al telescopio, l’ammiraglio dà alla flotta l’ordine di tornare indietro perché dalla riva nemica sporge il capo un prato di violette. S’avanzano i piedi nudi, e volgono in fuga i piedi con gli stivali. Il delicato suono del violino vince il chiasso delle trombe. Re del mondo un uomo perbene che si frega le mani al pensiero che ha un amico a colazione»

Un uomo ‘perbene’ Marco Panella alla cui tavola, negli ultimi mesi – per poter fare colazione con lui e ascoltarne le ultime parole- si sono avvicendate le più importanti personalità del Paese e le più alte cariche religiose. Un uomo ‘perbene’ che ha saputo conservare e inseguire per tutta la vita quel suo – mai tradito – sogno di bambino.

di Luca De Risi

 

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