La fame interpella i popoli dell’opulenza…

Vice Coordinatore di Redazione

Quando si capirà che papa Francesco è profetico quando dice che l’emergenza migratoria potrà essere arrestata solo con la fine dello sfruttamento, in Africa e nel mondo?

Faceva impressione, domenica scorsa, la prima pagina de “L’Osservatore Romano”. Quattro articoli, tutti dedicati alla tragedia della migrazione:
“In pericolo, non un pericolo”;
“Chiuso Idumeni. I migranti stanno peggio di prima”;
Dramma al confine tra Siria e Turchia”;
“La fame interpella i popoli dell’opulenza”…

Un vero bollettino di guerra, di una guerra atroce che in dieci giorni ha comportato la morte in mare di più di settecento persone.
Sono morti bambini, donne ed uomini per i quali la speranza di una vita dignitosa senza sevizie di delinquenti armati, senza una fame continuata e disumana, è stata stroncata.

Anche per la nostra paura, per la nostra indifferenza.
Non ci sentiamo coinvolti, non ci sentiamo colpevoli.
Neghiamo anche una benedizione alla salma di una donna musulmana (si è dimesso da parroco in questi giorni il prete savonese che aveva anche minacciato di dare fuoco alla canonica per non accogliere migranti)..
Minacciamo di morte (“Devi morire presto”, “Fai schifo”) Giorgio Rigoni, prete di un paesino del catanzarese, che a 70 anni si affanna a dare un minimo di aiuto a bambini adottati, in Congo ed in Tanzania..

Noi, anche noi. Che viviamo i nostri giorni con le barzellette sui cellulari di ultima generazione. Che compriamo un televisore più grande per il campionato europeo e per le olimpiadi di Rio.
Noi che con qualche sufficienza siamo disposti ad accogliere qualcuno (purché per poco, purché siriano, purché vittima di guerre civili dovute a nostre politiche coloniali, guerre combattute con armi che noi abbiamo costruito e venduto). Ma che non accettiamo vittime di altri scenari della terza guerra mondiale in atto, che facciamo distinzioni tra i prossimi morti per mine antiuomo e per per fame e per sete.
Noi che in Italia ci lamentiamo dei costi e della infelice raccolta dei rifiuti, ma che gettiamo ogni giorno 4 mila tonnellate di prodotti alimentari, per sostenerne i prezzi, per incuria domestica, per spreco senza aggettivi. Quattro milioni di kg, otto milioni di razioni alimentari ogni giorno. Ogni giorno.
Noi che non abbiamo dato peso alla notizia che per la prima volta, senza fare scuse, un presidente USA in carica è stato in Giappone sui luoghi dei bombardamenti atomici.
Come se scuse potessero giustificare i morti, da una parte dell’aggressione a Pearl Harbor (2403 militari, 68 civili) e dall’altra di Hiroshima e Nagasaki (almeno centomila, forse il doppio, quasi tutti civili).

Noi che viviamo nella civiltà del consumo e dello spreco (negli USA, dopo 6 mesi il 99% di quanto acquistato è gettato via e sostituito!!) dovremmo capire che da essa non nascono scenari di civiltà.
Nei giorni scorsi in Giappone i grandi del G7 hanno discusso delle massime priorità: crescita globale, immigrazione, terrorismo. Senza il coraggio di affrontare le cause vere che impediscono uno sviluppo generale, di accettare che un nuovo Umanesimo può nascere solo nella redistribuzione delle risorse nel rimuovere le esclusioni, nel ridare presenza e rispetto agli ultimi della terra, agli esclusi di ogni continente.
Per la crescita, hanno detto solo che useranno “tutti gli strumenti di politica monetaria, fiscale e strutturale, individualmente e collettivamente, per rafforzare la domanda globale e, allo stesso tempo, mantenere il debito a livelli sostenibili”..
E l’immigrazione “è una sfida globale che richiede una risposta globale, nel pieno rispetto dei diritti umani e in conformità con il diritto internazionale. La comunità internazionale dovrebbe aumentare gli sforzi nella prevenzione dei conflitti, nella promozione della pace e nell’aumento della assistenza globale … anche per intervenire sulle cause economiche e sociali dei paesi da cui si muovono i flussi”.
Tante affermazioni di principio, tante parole per dire che il modello è di fare crescere gli esclusi, gli ultimi della terra quel tanto che consenta loro di diventare consumatori.
Con una bicicletta per tutti. Purché si mantenga la logica del profitto.
Purché i pochi, gli eletti, possano perpetuare lo sfruttamento. Possano mantenere le Ferrari.

di Carlo Faloci

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