Signore Kalashnikov

di Milena Monti

Le ha conosciute, seguite, fotografate ed intervistate, dal 2013 ad oggi, nell’est del Congo ma anche in Mali, Libano, Siria. Oggi sono le sue signore, le signore Kalashnikov, donne africane della guerra, soldatesse contemporanee che hanno scelto consapevolmente quale strada seguire e che la fotoreporter Francesca Tosarelli ha seguito senza paura, macchina fotografica alla mano e giubbotto antiproiettile indosso. Le sue signore che ha raccontato nel libro Ms Kalashnikov che ha firmato insieme a Wu Ming 5-Riccardo Pedrini, edito da Chiarelettere (www.mskalashnikov.com),

“Le loro storie rivelano non solo il significato del loro ruolo con i gruppi ribelli di cui fanno parte – scrive Francesca sul proprio sito – ma mostrano il forte contrasto fra il pericolo della loro lotta di liberazione e la quasi mondana realtà della vita quotidiana di un gruppo armato dell’est della Repubblica Democratica del Congo”.

Nell’Africa contemporanea le donne ricoprono ben più di un ruolo ma nonostante questo restano come invisibili agli occhi del mondo. Francesca è fra le poche persone ad essersi appassionate ed impegnate nel racconto di questa realtà, dura e difficile ma vera. Quella di donne armate di mitra, pronte a sparare, coltello a portata di mano, in guerra (anche) per l’emancipazione in una terra che vive in una guerra perpetua.

Il racconto di Francesca e Riccardo, che non potevano non incontrarsi, è la favola senza lieto fine che ha per protagoniste principesse e fate che nessun altro ha raccontato come loro, insieme. La favola di una dinamica di genere, di donne che scelgono di non essere più vittime di violenze, oppressioni o magari della sola cultura patriarcale e maschilista che le schiaccia, dentro e fuori.

“Il progetto finale di Ms Kalashnikov (il cui testo si basa sui diari di Francesca riscritti da Riccardo) è un ibrido, è la voglia di esplorare altri ambiti del lavoro che ho fatto fino ad adesso”, spiega Tosarelli a FQMagazine. “Non ho mai lavorato per agenzie, sono andata ovunque da sola autofinanziandomi compreso il Congo – continua per Il Fatto Quotidiano –. Le testate giornalistiche puntano sempre sul linguaggio sensazionalistico, cosa che io non faccio. Nel 2016 se c’è qualcosa che può toccare veramente il lettore, bombardato da immagini e parole urlate da tutti i media, è raccontare una storia personale narrata nel modo più diretto possibile”.

C’è Fanette, ad esempio, che “ha studiato scienze politiche e ha quindi una motivazione politica nell’essere entrata in un gruppo armato. Non è il suo sogno nella vita, ma il solo fatto che nel suo villaggio lei porti un’arma, abbia potere e comandi il suo battaglione, ha fatto scomparire i casi di stupro. Le zone di guerra sono specchio di dinamiche presenti in ogni parte dell’occidente, anche in Italia. Basti pensare al sessismo che vivo tutti i giorni sulla mia pelle”.

La missione di Francesca è continua, questa non è la prima e non sarà l’ultima, la fotoreporter non ha intenzione si fermarsi ad un libro, bello, nato perché serviva ai lettori più che a lei. “La prossima meta del progetto è il Rojava. Difficile riuscire a rientrarci due volte. Sono però felice di tornarci con il libro e le foto per incontrare le donne combattenti. Per me sono sorelle. E questo tipo di narrazione, di condivisione del sapere, anche se loro qualcosa già sanno delle donne soldato in Congo, è ciò che devo fare in questa vita”.

 

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