Alla tavola dei caporali

Luca

Misera e parca la tavola dei diritti. A sedersi mai tutti, sempre – ancora – pochi. Troppo pochi. Mangiare non è un diritto è una necessità. E nei paesi civili sono proprio le necessità che, per legge, vengono regolamentate per garantirne il diritto.

Ogni giorno sulle nostre tavole, inconsapevoli, consumiamo e soddisfiamo una necessità nel cibo di cui sono imbandite, ma celebriamo anche un ‘diritto’ riconosciuto alla necessità – per tutti – di disporre di nutrimento. ‘Mangiare’, allora,  in un paese civile è anche alimentare la diffusione di consapevolezza.

Un pomodoro di Nardò – colto dalle braccia dei nuovi schiavi, vittime del sanguinario caporalato pugliese – ci dovrebbe risultare immangiabile.

“Ricordati di considerare con la massima attenzione con chi mangi e bevi prima di mangiare e bere qualcosa” raccomanda Seneca a Lucilio. Basterebbe, in effetti, spostare – per un solo istante – l’attenzione da ‘cosa’ mangiamo a ‘con chi’ lo mangiamo, per scoprire una vasta gamma di prodotti incommestibili.

Nel ghetto di Nardò torna, immancabile, l’estate e il sole torna a far arrossire i pomodori del Salento. Né l’estate, in agricoltura, ha mai colto alcuno di sorpresa. Eppure in Italia, per un’endemica sfasatura temporale Legge e Burocrazia segnano il passo su ‘qualsiasi’ appuntamento, persino su quelli più ‘scontati’ come i cicli stagionali della raccolta agricola.

Torna il sole e tornano gli schiavi neri del rosso pomodoro del Salento. Anzi in queste ore l’oscenità – nell’anno in cui si è deciso di combattere questa piaga – è ancora più odiosa, dal momento che la Regione Puglia è riuscita (ma come si fa?) a mancare l’appuntamento con il bando di gara per la consegna di un campo conteiner da 300 posti, previsto dal protocollo sperimentale contro il caporalato, firmato lo scorso 27 maggio dai ministri dell’Interno, del Lavoro e delle Politiche agricole.

Certo che se attrezzare dei conteiner per ospitare i braccianti ‘stagionali’ che lavorano per 8 euro al giorno, equivale a ‘sperimentare’ possibili soluzioni, la stato di precarietà diventa ‘strutturale’.

A Nardò c’è un ghetto di plastica che da anni, cresce ogni estate nei campi assieme ai pomodori – con persone costrette a vivere senza letti, senza bagni, con scarse risorse idriche – e la politica concepisce un protocollo ‘sperimentale’? E riesce persino a mancare l’appuntamento?

E’ la stessa ‘politica’ che parla ancora di ‘emergenza migranti’ e definisce la migrazione un ‘fenomeno’, dopo che sono già passati oltre vent’anni dal primo profugo sbarcato sulle spiagge di Lampedusa.

E’ una politica ingorda di privilegi e prebende, che non riconosce la fame di diritti che sola alimenta e nutre la convivenza civile. Una politica che pasce questa sempre più grave – e pericolosa –  mancanza collettiva di consapevolezza.

Proviamo a considerare con ‘chi’ stiamo mangiando e non solo ‘cosa’ c’è nel piatto. L’Italia non è, per fortuna, un paese in cui la fame ci possa impedire di rifiutarci di sedere alla tavola degli schiavisti e degli aguzzini e banchettare con i frutti della terra – pomodori e angurie fresche di stagione – colti per noi da migliaia di nuovi, invisibili, schiavi.

di Luca De Risi

 

 

 

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