Istanbul: quando l’aeroporto si trasforma in inferno

Fois

“C’erano tanti bambini piccoli che piangevano, la gente che urlava, vetri rotti e il sangue su tutto il pavimento. L’area era molto affollata, c’era il caos”. Il racconto di Diana Eltner, ventinovenne psicologa svizzera, fa accapponare la pelle. “Uno l’ho visto in faccia – spiega invece un altro testimone, Paul Roos, 77 anni, turista sudafricano intervistato dall’agenzia Reuters – era completamente vestito di nero e il volto non era coperto. Era a una cinquantina di metri da me, nella sala partenze internazionali. Mi sono nascosto dietro un bancone, ma spiavo quello che faceva. Era nervoso, e ha cominciato a avanzare nella nostra direzione. Aveva un’arma nella giacca e la impugnava. Si guardava intorno con ansia per vedere se qualcuno provava a fermarlo…poi è andato giù per la scala mobile. Abbiamo sentito un po ‘di spari e poi un’altra esplosione. E non ci sono stati altri spari”. Le parole di chi ha visto, di chi ha vissuto la paura e il terrore durante quei terribili attimi nell’aeroporto internazionale di Istanbul rimandano subito alla mente le stragi di Bruxelles e Parigi. Almeno 41 i morti e 239 feriti, tra poliziotti, personale in servizio e viaggiatori. Ventitré vittime sarebbero di nazionalità turca e tredici stranieri, tra i quali due di nazionalità iraniana e ucraina, cinque sauditi, due iracheni, un cinese, un giordano, un tunisino, un cittadino uzbeco e una donna palestinese. Al bilancio delle vittime vanno aggiunti i tre kamikaze che si sono fatti esplodere e che sarebbero stati identificati: uno sarebbe cittadino turco, gli altri due di diversa nazionalità.

Oggi, a poche ore di distanza dall’attentato, i terminal sono di nuovo operativi e si cerca di ricostruire quanto avvenuto prima della tragedia. Il primo ministro Binali Yildirim ha riferito che “tre attentatori si sono fatti esplodere dopo aver aperto il fuoco” con kalashnikov nell’area del terminal riservato ai voli internazionali. I tre, sempre secondo quanto ha riferito il premier, sarebbero arrivati in zona a bordo di taxi, come accadde nell’attentato all’aeroporto di Bruxelles. Tutto fa pensare che dietro la strage ci siano militanti dello Stato islamico, anche se al momento non risulta alcuna rivendicazione. La situazione turca è più ingarbugliata che mai e, anche volendo tenere da parte la questione curda, è chiaro che l’attentato ha un peso diverso da quelli accaduti in territorio europeo. Un peso diverso tanto per gli osservatori europei ed americani, che solo pochi mesi fa tempestavano le pagine dei social network con gli stendardi francesi e belga, quanto per i popoli del mondo arabo, che si chiedono se e quali terribili rappresaglie li aspettano.

di Giovanni Antonio Fois

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