A 83 anni muore Bernardo Provenzano

Martina

Bernardo Provenzano è morto a 83 anni, questo 13 Luglio. Ha vissuto 30 anni di più di Giovanni Falcone, 31 in più di Paolo Borsellino. E, volendo, si potrebbe proseguire assai più a lungo con l’elenco delle decine e decine di persone fatte fuori da Cosa Nostra alle quali Zu Binnu è sopravvissuto.

Non lo hanno eliminato le faide interne ed esterne, i segreti sodalizi con lo Stato, è stato un cancro alla vescica ad uccidere il boss dei boss. Morto come muore la gente normale. Morto come forse naturalmente sarebbero morti quelli a cui ha fatto chiudere gli occhi ormai molti anni fa.

Bernardo Provenzano muore in un letto dell’ospedale di San Paolo a Milano, struttura presso cui era ricoverato dall’Aprile 2014, sempre sotto regime si 41 bis per il quale, invano, l’avvocato del boss, Rosalba Di Gregorio, aveva presentato due istanze di revoca solo negli ultimi anni. Sempre respinte. Risale allo scorso Aprile l’ultima proroga da parte del Ministro Orlando del carcere duro al boss corleonese, giustificata con l’intatta capacità di quest’ultimo di intrattenere contatti con l’organizzazione.

Il buon senso ha spinto il Questore di Palermo, Guido Longo, a vietare i funerali pubblici. Ma possiamo rasserenarci, la benedizione è garantita. Prontamente l’Arcivescovo di Monreale, Monsignor Pennisi, ci rassicura riferendo che “verrà benedetto il feretro e ci sarà un momento di preghiera” perché “una preghiera non si può negare a nessuno”.

Forse dipende da una mia mancanza, che non so pregare, la convinzione che sì, una preghiera si nega a qualcuno. A Bernardo Provenzano una preghiera si nega.

Intanto, nonostante l’esito dell’autopsia disposta dal pm Alessandro Gobbis confermi la morte per cause naturali e allontani qualsivoglia dubbio circa le cure ricevute dal boss, la moglie Saveria Palazzolo ed i figli Angelo e Francesco Paolo hanno deciso di consegnare i risultati della perizia medica alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, dove già due anni fa è stato aperto un procedimento a carico dello Stato italiano per le condizioni carcerarie di Provenzano. La Corte Europea dei diritti dell’uomo. I diritti dell’uomo. Sembra una beffa, la famiglia Provenzano che si appella si diritti umani.  A quali diritti dell’uomo avrà fatto riferimento Provenzano nell’organizzazione delle stragi? Quali valori, quali diritti civili in quella stretta di mano con lo Stato?

Provenzano che della mafia coppola e lupara ha fatto un Spa all’avanguardia. Che ha sostituito il sangue coi colletti bianchi, le stragi con la corruzione, che spalla a spalla con i figli marci di questo nostro Paese ha spadroneggiato, e spadroneggia anche ora, soffocando il primo dei diritti umani: la libertà.

Con lui, nella tomba,  finisce mezzo secolo di domande senza risposta. Di domande di cui non vogliono farci sapere le risposte. E questo sì che sarebbe un diritto nostro e di chi quelle risposte, oggi, non può ascoltarle più.

Il senso della vergogna è un sentimento nobile. Troppo nobile perché possa toccare il cuore sporco dei mafiosi e spingerli quantomeno ad un doveroso silenzio. Provenzano è morto di morte naturale, seguito e curato dai medici dell’ospedale milanese, sotto regime di 41bis perché è così che doveva scontare la sua pena. Nessun diritto, di colui che dei diritti del prossimo ha fatto scempio, è stato leso.

Tanto si doveva e tanto si è fatto e la pietà, mi spiace, oggi non so cosa sia.

di Martina Annibaldi

Print Friendly, PDF & Email