Attenzione alle parole che si usano!

Antonella

L’espressione “Lei non sa chi sono io…gliela farò pagare!” integra il reato di “Minaccia” previsto dall’art. 612 del codice penale.

Lo afferma la Quinta sezione penale della Corte di Cassazione nella recentissima sentenza n. 11621/2012, resa pubblica con deposito del 26 marzo 2012.

La Suprema Corte di Cassazione con la Sentenza in esame ha condannato un vip, che in maniera poco garbata, rivolgendosi ad una persona le aveva detto: ” Lei non sa chi sono io, la pagherà», frase, puntualizzano gli “Ermellini” che va letta in “combinato disposto” con la futura promessa di una vendetta che può essere percepita dall’ascoltatore più verosimile, proprio perché colui che la pronuncia fa capire di essere in una posizione in cui può nuocere e “fare male”.

In primo grado, il Vip, veniva assolto dal giudice di pace, perchè lo stesso aveva ritenuto che l’ira del “personaggio famoso” era stata provocata da un fatto ingiusto; Gli inquilini del Palazzaccio non sono dello stesso avviso.

Nella sentenza appena menzionata si legge che il giudice di merito (la cui sentenza è stata, appunto, cassata con rinvio per una diversa valutazione conforme al principio di diritto enunciato) ha errato, perchè non si è soffermato adeguatamente a considerare il contesto in cui si inseriva l’espressione minacciosa, affermandone apoditticamente l’inidoneità offensiva.

Più precisamente, «l’espressione andava […] valutata nel concreto ambito nel quale era stata pronunciata, in un contesto cioè di alta tensione verbale, da persona che utilizzando quella espressione […] essendone capace (“non sa chi sono io”) coloriva e riempiva di contenuti minacciosi la frase pronunciata, perché nulla ne circoscriveva il significato all’adozione di iniziative lecite».

Con evidenza palmare la sentenza s’inserisce nel solco di precedenti pronunce giurisprudenziali, tutte attestantisi sul seguente principio di diritto: «nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verfichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l’indeterminatezza del male purchè questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente».

Attenzione, allora, alle parole pronunciate durante un diverbio, e a valutare l’inopportunità di ricorrere a un modo di dire che non è semplicemente indice di arroganza e maleducazione, in quanto, se contestualizzato, può rivestire per l’ordinamento giuridico una valenza tutt’altro che neutra e di indubbia carica lesiva, col rischio di una condanna alla multa fino a 51 euro e, se la minaccia è grave, alla pena della reclusione fino ad un anno!

di Antonella Virgilio

Print Friendly, PDF & Email