L’eredità di Giacomo Matteotti: a 92 anni dal ritrovamento del cadavere

Salvo«Quel che dovevo dire, l’ho detto: adesso sta a voi preparare la mia orazione funebre». Terminava così il celebre discorso di Giacomo Matteotti tenuto alla Camera nel maggio 1924, in cui denunciava i brogli e le violenze fasciste durante le elezioni di aprile e col quale, di fatto, firmava la sua condanna a morte. Il segretario dell’allora Partito Socialista Unitario sarà di lì a poco rapito e ritrovato privo di vita il 16 agosto, per la precisione in un bosco di Riano, alla Quartarella, trenta chilometri a nord della Capitale.
Esattamente 92 anni fa il governo Mussolini toccava uno dei punti più bassi della sua ventennale durata (il più basso l’avrebbe raggiunto nel ’39, con l’entrata in guerra al fianco di Hitler); così tanto che la credibilità del Duce per un po’ vacillò, salvo poi riesplodere nel gennaio ’25 grazie alla famosa assunzione di responsabilità politico-morale dell’assassinio. «Una bufera che mi hanno scatenato contro proprio quelli che avrebbero dovuto evitarla», dirà in un’altra occasione, definendo il delitto come «un cadavere gettato davanti ai miei piedi per farmi inciampare».
La sua fu tuttavia una mossa astuta per rabbonirsi i numerosi parlamentari che si erano riuniti in quella che passerà alla storia come “secessione dell’Aventino”, dal nome del colle romano sul quale, secondo la storia antica, si ritiravano i plebei nei periodi di acuto conflitto con i patrizi. La loro protesta, iniziata all’indomani della scomparsa di Matteotti (10 giugno), aveva aperto di fatto una crepa nel governo, perché gli aventiniani si erano ormai decisi ad abbandonare i lavori parlamentari finché il governo non avesse chiarito la propria posizione a proposito della sorte del povero socialista.
La stessa falla si era propagata fino allo stesso Partito nazionale fascista, laddove il 16 agosto, dinanzi alla notizia del ritrovamento del cadavere, erano scoppiate accese discussioni, risoltesi poi soltanto col suddetto discorso mussoliniano. Monologo, questo, nel quale tra l’altro il Duce annunciò di voler rinunciare alla guida del Ministero dell’Interno, affidandolo a Luigi Federzoni; spetterà proprio a costui l’organizzazione dei funerali di Matteotti “in pompa magna” come ordinatogli da Mussolini (che però gli ordinò anche di tenerli a Fratta Polesine, città natale del socialista e abbastanza lontana da tutto e tutti).
Gli echi di quell’azione lesiva, tuttavia, lasciarono dubbi in seno all’opinione pubblica, che continuò a dare consenso al fascismo seppur con riserva. «Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai»: le parole di Matteotti nell’ultimo discorso alla Camera riecheggiavano ancora forti nella mente dei più, tanto che, durante la Resistenza, il Psi costituirà le Brigate Matteotti tra l’entusiasmo generale, il quale avrà tra le sue file, come dirigente, nientemeno che Sandro Pertini. La secessione aventiniana, invece, riecheggia ancora oggi, dal momento che a Montecitorio esiste un’aula denominata “sala dell’Aventino”.

di Massimo Salvo

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