Universo Casamonica

Lamberto

Trecento persone e qualche petalo lanciato dal balcone non sono nulla rispetto alla carrozza, ai petali dall’elicottero e alla musica de Il Padrino con cui il clan Casamonica salutò il suo imperatore Vittorio, appena un anno fa.

Eppure neanche Nicandro Casamonica se n’è andato in maniera silenziosa. Ai suoi funerali a salutarlo, oltre alla folla di amici, parenti e compari, c’era anche la sua Ferrari nera, che qualcuno accelerava a folle, così che il suo motore potesse omaggiare l’ultimo martire della famiglia.

Il 27enne è morto il 7 agosto scorso mentre tentava di dare fuoco alla villa di Raffaele Casamonica, in cui abitava anche il figlio Romolo, colpevole di essere scappato per una fuga d’amore con la sorella di Nicandro, Concetta.

Una fuitina indegna, un affronto alla dignità della famiglia: Romolo era sposato, la ragazza no. Per punire lo scempio ecco la vendetta che è costata cara: Nicandro dà fuoco alla casa, scoppia una bombola e muore sul colpo.

Una storia in cui ci sono tutti gli ingredienti per capire la forza e la storia dei Casamonica, il clan mafioso più forte e radicato del Lazio. Prima di tutto i legami, specie quelli matrimoniali: marito e moglie sono quasi sempre cugini, non sono ammesse parentele diverse. Al massimo possono accogliere altre famiglie come i Cena, i De Rosa, gli Spinelli. Così è nato un albero genealogico strettissimo e ramificato al tempo stesso, unito, forte e fedele. Nessun pentito, nessun infiltrato. Zero possibilità di smontare l’organizzazione.

L’altra legge fondamentale che la storia di Nicandro ci insegna è il marchio di fabbrica del clan. Il giovane non spara, decide di bruciare. I Casamonica infatti da quando, settant’anni fa, arrivarono a Roma non hanno mai ucciso. Hanno menato, spezzato dita, spaccato vetrine, rotto gambe. Ma sparare no, troppo pericoloso. Così nel vasto curriculum che dall’usura va allo spaccio, dalle percosse alla truffa, non trova posto l’omicidio.

Tradizioni, credenze, leggi universali che vengono tramandate di padre in figlio. L’obiettivo è solo uno: rendere la famiglia più forte e sempre più inaccessibile.

di Lamberto Rinaldi

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