ITALIA GROUND ZERO

Luca

C’era una volta, venti centimetri fa, Amatrice: antico borgo arroccato sulle pendici degli Appennini. Al suo posto, adesso, uno scalino sprofonda, incassato di 20 centimetri, sovrastato di polvere e macerie dominate da un palazzone fantasma di cinque piani.

Il ground zero di Amatrice e dei comuni investiti dal sisma che il 24 Agosto ha strappato dalla faccia della terra la vita di oltre 270 persone, intere generazioni e un tratto irripetibile della nostra civiltà, si iscrive in una misura che sprofonda la soglia nel sottosuolo. Venti centimetri che hanno inghiottito il tempo. Per sempre.

Quando accade ciò che è avvenuto allo scoccare delle 3 e 36 di mercoledì scorso, il tempo e la storia sfaniscono, annichiliti e inghiottiti nel collasso di un buco nero. Non c’è sospensione e successiva ripresa dell’ora. E’ azzeramento definitivo, totale sparizione, sottrazione irreversibile.

Colpito da un’atomica il cuore della storia si è inabissato – di 20 fatali centimetri – e lo scenario, per chi resta, si è fatto apocalittico nella sottrazione atroce di qualsiasi ‘dopo’, di qualsiasi continuità. I greci la chiamano parousia: è la sospensione della vita materiale. E’ la fine di ogni storia: la fine della Storia.

Del resto ‘c’era una volta’ dice, oltre all’incanto della favola, la nostalgia per un passato che non può tornare. ‘C’era una volta’ è, allora, anche il segno di una fine scesa sul tempo. Ciò che comincia con ‘c’era una volta’, è il racconto – allontanato, per sempre – del non esserci mai più.

Il terremoto è l’espressione fisica – naturale e tangibile – di questa definitiva dislocazione temporale. Il 24 agosto la storia di padri e figli, di nonni e nipoti, di madri, di fratelli e sorelle è sparita, all’improvviso, fagocitata da 20 centimetri di terra.

Venti centimetri, niente: eppure soglia incommensurabile, tanto che il racconto del dramma con cui il destino – nel caso di Amatrice – si è accanito a confondere la misura del tempo e quella della lunghezza, potrebbe cominciare anche così: – C’erano una volta 20 centrimetri –

Venti centimetri: la misura di un bacio e di un abbraccio. Venti centimetri: la misura di un respiro. Venti centimetri: la misura del futuro. Venti centimetri: la misura della continuità. Venti centimetri, ora la misura dell’oblio. La lunghezza di una cicatrice obbrobriosa.

Venti centimetri fa mio figlio c’era ancora, e mia madre, e la mia casa. Solo venti centimetri fa. Venti centimetri, una vita.

Venti centimetri di oltraggio, che guardando le foto dall’alto dei luoghi della tragedia, lasciano il sospetto davvero estraniante che, forse, non siano mai esistiti.

Impietoso il terremoto ad Amatrice, come fanno le Parche con la vita dell’uomo, ha tagliato 20 centimetri di Storia. E lo ha fatto brutalmente. Non accontentandosi solo di interromperla, l’ha cancellata, sradicando e polverizzando ciò che sul limite della fine, lentamente, si fa memoria.

La memoria di Amatrice è – da quel maledetto 24 agosto – amputata di 20 centimetri. Ma lo scempio di questo troncone, lo sfregio di questo moncherino, che tutti ci fa zoppi e storpi, ci sia di monito.

Ci dica per sempre che quando c’era Amatrice, c’erano ancora venti centimetri in più di lungimiranza. C’erano tutte le condizioni per evitare l’ennesimo disastro annunciato. In quei 20 centimetri c’erano anche gli strumenti per la salvezza di tutte quelle vite: c’erano le mappe sismiche e gli studi scientifici, c’erano esempi recenti  e – pare – persino i fondi disponibili per mettere in sicurezza le strutture pubbliche della città.

E’ questa negligenza, questa imperdonabile sciatteria – i cui tratti sconfinano obbligatoriamente nel dolo – che, prima ancora del terremoto, hanno segnato la fine di quei 20 centimetri e la fine della storia di Amatrice.

E’ questa la ragione di una angoscia cosi profonda. Perché dentro di me, al buio, nel cuore della notte, con l’orecchio teso al minimo scricchiolio, invaso dalle immagini di tutte quelle vite spezzate, si racconta la storia di Amatrice. Una voce sale e mi dice: – C’era una volta Amatrice cui mancarono 20 centimetri di consapevolezza. Trascorsi che furono 20 centimetri, Amatrice non c’era più.

di Luca De Risi

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