Alla gogna!

Camillieri16 agosto, Scoglitti (RG), il 43enne indiano Ram Lubhaya passeggia per la spiaggia, in cerca di clienti che vogliano fare un tatuaggio a buon mercato. Ram prende in braccio una bimba di 5 anni, per pochi secondi, per poi riadagiarla al suolo.
Questi i fatti.
Malgrado non sia successo proprio nulla, poche ore dopo Ram Lubhaya si trova catapultato sulle prime pagine dei giornali, non solo quelli locali ma persino il Giornale di Sallusti. Motivo? Un amico del padre della bimba avrebbe allertato i Carabinieri, denunciando un rapimento.
L’indiano viene arrestato ma, poco dopo, il sostituto procuratore, Giulia Bisello, firma il rilascio non ravvisando gli estremi per trattenere l’uomo.
Da quel momento è il caos, partono le invettive verso l’uomo, verso il magistrato, verso le forze dell’ordine. Come se non bastasse, è pure straniero, c’è profumo di razzismo nell’aria, l’eau de toilette preferito da Giorgia Meloni che cavalca subito l’onda e si fionda sulla notizia per raccattar voti.
La cronaca giudiziaria e quella giornalistica, come sempre camminano ognuna per i fatti propri, a imperare è solo la confusione.
Il procuratore Petralia, difende la Bisello (definendola “il mio pm”) che ha sicuramente avuto il pregio di non disturbarlo a Ferragosto. Non ci sarebbero stati gli estremi per il fermo, a dire di Petralia, che aveva già promesso querele a tutti i detrattori della sua sottoposta. Stando alla cronaca giornalistica, però, la stessa Bisello avrebbe fatto riarrestare Ram Lubhaya per interrogarlo. Non ci vuole una laurea in legge per sapere che un libero cittadino non può essere arrestato “per essere interrogato” e la cosa è, ancor più, senza senso se, come dice Petralia, il fermo non aveva nessuna ragione d’essere. Perché riarrestarlo se non per compiacere l’opinione pubblica o rabberciare una défaillance?
La gogna mediatica, alla fine, ha condannato un innocente e nessuno si è scusato. Dovrei farlo anche io, per inciso, e lo faccio, avendo malamente puntato il dito sull’indiano che frequenta le spiagge della mia zona. I fatti apparivano inequivocabili ma il problema è che i fatti li deve appurare la giustizia, non i giornalisti e si cade facilmente nell’errore marchiano di fidarsi di parole di terza o quarta mano.
E così la mente corre a Maniaci, ad un video costruito su misura dai Carabinieri, pieno di fatti penalmente irrilevanti ma mediaticamente efficaci, a dei giudici che non hanno cercato prove di innocenza ma solo di colpevolezza, ad una stampa pronta a sbranare la prima vittima sacrificale disponibile.
Il problema è che, in Italia, non c’è modo di farsi un’opinione, solo di alimentare dei pregiudizi. I fatti vengono annacquati dentro un enorme massa di opinioni, indignazioni, menzogne, rumore.
Il problema è che tutti, me compreso, dovremmo prendere l’abitudine di leggere con attenzione, distinguendo la cronaca giudiziaria, espressione di indagini, lavoro e confronto, da quella giornalistica, figlia solo di una ricerca frenetica di sensazionalismo e rumore.
Ma se non possiamo apprenderli dai giornali, i fatti, dove dobbiamo cercarceli?

di Marco Camillieri

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