Uno sgambetto alla solidarietà

MartinaIncriminata la giornalista ungherese Petra Laszlo

Ci sono immagini che restano impresse nella memoria collettiva. Frammenti di vite, di fatti, di luoghi che attraversano gli occhi e sembrano arrivare dritte ad un punto imprecisato tra lo stomaco e il petto.
Fotogrammi che segnano un’epoca, che ne raccontano i drammi e le conquiste, il clima e la cultura. In quel punto imprecisato tra lo stomaco e il petto di chi ha vissuto questi anni ci sono Aylan ed Omran, ci sono i sacchi che contengono i migranti rigurgitati dal mare, la barriere col filo spinato di chi non conosce solidarietà, c’è la bambola dal vestitino rosa sul lungomare di Nizza. In quello stesso punto c’è la caduta a terra di Osama Abdul Mohsen. Era l’8 Settembre dello scorso anno e quelle immagini fecero il giro del mondo. Osama Abdul Mohsen, scappato dalla città siriana di Deir El-Zor, che con in braccio il figlioletto Zaid, cerca di fuggire dal centro di identificazione di Roszke (confine serbo-ungherese) e la giornalista ungherese Petra Laszlo che, con uno sgambetto, fa cadere a terra entrambi ( i video, tanto per non dimenticare, la immortalano anche mentre prende a calci altri due migranti in fuga dalle forze di Polizia). La Laszlo, che all’epoca dei fatti lavorava per l’emittente televisiva ungherese N1TV – vicina agli ambienti di estrema destra – venne immediatamente licenziata e, sul momento, tentò di giustificare il gesto come una reazione involontaria dovuta al panico. Le immagini non necessitano si aggiunga molto all’assurdità della parole pronunciate.
In quel frammento di pochi secondi ognuno di noi ha potuto rivedere la bassezza a cui spinge l’odio per il prossimo. L’odio, la violenza non si manifestano solo nell’omicidio, nella strage, nello stupro. C’è un odio nero, vischioso, degradante nella volontà di ostacolare un uomo che tenta di salvare la vita propria e di suo figlio. C’è una crudeltà che affonda le proprie radici nella sicurezza di essere nati nella parte fortunata del mondo e che spinge a considerare l’umiliazione di chi viene dall’altra parte come qualcosa di normale. Scappano dalla guerra, che sarà mai uno sgambetto, poi magari la Polizia li prende e li rispedisce al proprio Paese. Due in meno. L’immagine di Mohsen che cade a terra è il simbolo di un baratro globale in cui è sprofondato il comune senso di fratellanza.
Oggi, secondo quanto riferito dal Procuratore di Csongrad, Zsoer Kopasz, Petra Laszlo è stata incriminata per disturbo dell’ordine pubblico. I magistrati non riconoscono, tuttavia, alcuna motivazione di ordine etnico o razziale e, secondo il capo di imputazione, la Laszlo rischia fino a 5 anni di carcere.
Giustizia potrebbe essere fatta, ma ci si chiede se quella che non riconosce una matrice xenofoba nel gesto della giornalista ungherese non sia pur sempre una giustizia a metà.
Intanto Osama Abdul Mohsen da quella ricaduta sembra essersi definitivamente rialzato. Ora vive in Spagna, insieme al piccolo Zaid e ad un altro dei suoi figli. Dopo la visione della immagini, la Cenafe, una scuola di calcio di Getafe (vicino Madrid) ha deciso di aiutarlo ad ottenere il permesso di soggiorno ed un alloggio e ora Mohsen – che in Siria allenava una squadra di serie A- lavora come impiegato per la scuola spagnola, in attesa che la moglie e gli altri due figli ottengano i permessi per raggiungerlo.

di Martina Annibaldi

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