Black Book – Paul Verhoeven

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Paul Verhoeven è ricordato per Robocop, Atto di Forza o Basic Instinct e questo dimostra, prima di tutto, che sia un regista a cui piace mettersi alla prova su generi diversi. In Black Book però mostra di saper fare il suo mestiere anche meglio che altrove, costruendo un gran bel thriller dalle atmosfere noir, ambientato nel contesto storico della II Guerra Mondiale e quindi, già per questo, dotato di una propria tensione intrinseca. La protagonista dovrà giocare sul filo del rasoio per infiltrarsi nientepopodimeno che nei più alti piani dei ranghi nazisti e questo, in fin dei conti, l’abbiamo visto in centinaia di altri film ma, lungi dall’essere un fattore di deprezzamento, ciò permette piuttosto di riconoscere al regista le sue grandi capacità tecniche perché, nonostante tutto possa ritenersi prevedibile, di fatto è l’esatto opposto. Ogni espediente di fuga o tentativo di sovversione viene di volta in volta stravolto e modificato, le continue sparatorie lasciano intendere che chiunque, finanche la protagonista, potrebbe morire da un momento all’altro senza che per questo la trama si fermi lì. È lei, di fatto, l’unico punto fermo della narrazione e presto lo spettatore se ne renderà conto; ha grande carisma, le capacità innate di una spia professionista e fascino da vendere. Verhoeven non si dedica solo all’azione ed all’intrigo ma sa scendere bene nelle pieghe dell’animo umano, giocando bene con le psicologie dei protagonisti e con un cast che lo supporta perfettamente in questo. Carice Van Houten è straordinaria ed in grado di reggere la scena in ogni frangente mentre, dall’altra parte, un più modesto Sebastian Koch ricorda vagamente Sebastiano Somma, stessa espressività monotona, ma risulta adatto ad interpretare il personaggio in scena.
Thriller consigliato, tecnicamente impeccabile e che richiama gli echi dei grandi noir d’autore.

di Marco Camillieri

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