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Martina

Nuove minacce a Nino Di Matteo, il Csm propone trasferimento

Sono passati quasi quattro anni dalle prime minacce che Nino Di Matteo, il Pm che indaga sulla Trattativa  tra lo Stato e la Mafia ( Trattativa reale e non presunta, gli scettici vadano a rileggere la condanna all’ergastolo emessa dalla Corte d’assise di Firenze nel 2011 nei confronti del boss Francesco Tagliavia per schiarirsi un po’ le idee!) ha ricevuto da Cosa Nostra.

In principio fu una lettera scritta dal latitante Matteo Messina Denaro, che alla fine del 2012 ordinava ai boss palermitani di organizzare l’attentato al magistrato. Secondo la ricostruzione, resa possibile nel 2014 dalle confessioni del pentito Vito Galatolo e confermata dai boss Carmelo D’Amico e Francesco Chiarello, l’organizzazione dell’attentato procedeva su due binari. A Roma, era pronta una squadra armata di Kalashnikov mentre a Palermo, lo stesso Galatolo, era stato incaricato di reperire i famosi 150 chili di tritolo pronti a far saltare in aria Di Matteo. Alla luce dei fatti, al magistrato palermitano viene attivata una scorta di I livello di protezione eccezionale e richiesto l’uso del  dispositivo bomb jammer (di cui per mesi, a causa delle solite questioni burocratiche, non si è saputo più nulla).

A rincarare la dose arriva, nel Novembre del 2013, un’intercettazione ambientale che ha come protagonista Totò Riina. Il Boss corleonese, durante l’ora d’aria nel carcere milanese di Opera, si lascia andare ad una serie di inquietanti dichiarazioni di intenti con un altro boss della Sacra Corona Unita. “Un’esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo”, questo il progetto in serbo per il Pm della Trattativa.

Naturalmente, in questi anni di Nino Di Matteo si è parlato poco o nulla. Avvolto in un gravissimo silenzio istituzionale, osteggiato da un’ampia fetta di colleghi, dimenticato dalla stragrande maggioranza dei media nazionali, Di Matteo ha potuto  portare avanti il proprio lavoro insieme ai colleghi Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia con estrema difficoltà,  potendo contare più sui movimento civili sorti in difesa della sua figura e del lavoro necessario a questo Paese che porta avanti da anni, che sull’appoggio istituzionale.

Respinto dal Csm che, nell’Aprile del 2015, lo boccia nella corsa al ruolo di sostituto procuratore in Direzione Nazionale Antimafia, relegandolo all’undicesimo posto senza alcuna obiettiva motivazione.  Respinto il ricorso presentato al Tar del Lazio contro questa delibera. Neanche accettata, lo scorso Luglio, la domanda presentata per il concorso da Procuratore aggiunto in Direzione Nazionale Antimafia. Stavolta il problema è un allegato mancante e un’autorelazione presentata con un modulo sbagliato. Verrebbe da ridere se non fosse che c’è in gioco qualcosa di molto più grande di quattro scartoffie.

Poi, improvvisamente, qualche giorno fa il risveglio delle istituzioni. Arriva una nuova intercettazione nell’ambito di un’indagine in corso sulle famiglie palermitane. Un mafioso sta litigando con la moglie, all’apparenza un banale litigio familiare: la suocera ha portato il figlio in un circolo di tennis  senza il consenso del padre. Quel circolo è frequentato da Di Matteo. È lo stesso circolo nel quale, circa un anno fa, alcuni clienti segnalavano la presenza di uomini armati davanti l’entrata secondaria. Quello è un posto pericoloso, il mafioso lo sa, “ A quello lo devono ammazzare!”, dice alla moglie.

Un nuovo allarme che spinge immediatamente il Procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, a contattare la Procura di Caltanissetta – che indaga sul progetto di attentato – ed il Csm.

Convocato d’urgenza  al Palazzo dei Marescialli, sede del Csm, Di Matteo è stato ascoltato dalla Terza Commissione del Consiglio. A seguito dell’incontro Sergio Mattarella, in qualità di Presidente dell’organo di autogoverno, e Giovanni Legnini, Vicepresidente del medesimo, hanno paventato l’ipotesi di trasferimento del Pm da Palermo a Roma con un ruolo all’interno della Procura Nazionale Antimafia , offerta già avanzata lo scorso Marzo e declinata dall’interessato proprio in previsione dei concorsi imminenti.

Un risveglio tardivo, quello del Csm. La situazione di Nino Di Matteo non è una novità per nessuno e, come conferma il Pm stesso, non ha subito nessuna particolare evoluzione nelle ultime settimane. Il rischio è imminente e dietro l’angolo da anni eppure quello stesso organo che, a tempo debito, ha avuto la possibilità di sceglierlo per la Direzione Nazionale Antimafia tra una lista di candidati, gli ha preferito colleghi con molta meno esperienza sul campo. Screditando decenni spesi a servire realmente lo Stato, pagati a prezzo della libertà e dell’incolumità propria e della propria famiglia. Nino Di Matteo in Procura Nazionale Antimafia doveva entrare per merito e non, o almeno non solo, per questioni di sicurezza che sono sempre le stesse da anni. Peraltro, accettare ora quel posto significa, per il Pm, dover rinunciare  all’intenzione di appellarsi al Consiglio di Stato per la bocciatura ottenuta ad Aprile. Appello che ha un significato ben preciso: ribadire l’ingiustizia del trattamento ricevuto.

Per adesso nessuna decisione presa. Di Matteo, così come la Commissione, hanno a disposizione del tempo e delle nuove audizioni per scegliere cosa fare. Una cosa sembra, forse, abbastanza evidente. Anche stavolta la sveglia istituzionale è suonata (e male) troppo tardi. A Nino Di Matteo va, ancora una volta, la solidarietà ed il sostegno di quanti hanno compreso l’indispensabilità e l’improcrastinabilità del lavoro svolto in questi anni.

di Martina Annibaldi

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