La verità non sta in cielo

Lamberto

Quando Papa Francesco riceve in Vaticano la famiglia Orlandi, sussurra al fratello di Emanuela queste parole: “La verità sta in cielo”. Roberto Faenza ha usato questa frase come titolo per il suo nuovo film, nelle sale dal 6 ottobre, che riaccende i riflettori sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.

Una storia difficile, triste e complicata, all’interno della quale si mischiano interessi e bugie, soldi e segreti. Protagonista è Maria, giornalista inglese di origini italiane interpretata da Maya Sansa, che viene inviata a Roma per indagare sul caso. Qui incontra Raffaella Notariale (sul set Valentina Lodovini), giornalista di “Chi l’ha visto?” che ha intervistato Sabrina Minardi. Ed è quest’ultima la grande protagonista del film.

Prima moglie di Bruno Giordano, stella della Lazio degli anni 70-80, poi compagna di Enrico De Pedis, boss della Magliana, il cui corpo è stato seppellito per vent’anni nella Basilica di Santa Apollinare. Resta al suo fianco per dieci anni. Un lasso di tempo scandito da soldi, (“Una volta mi diede un borsone con 100 milioni di lire e mi disse: Spendili tutti!”), da droga e dalle giuste conoscenze. Al fianco di De Pedis la Minardi conosce la Roma dei quartieri alti e dei giochi di potere: senatori, banchieri, vescovi. Passa dalle cene a casa di Andreotti agli appuntamenti segreti con Roberto Calvi, direttore del Banco Ambrosiano. È un vortice di bella vita e grandi interessi, conditi da tantissima droga. Sabrina ne fa uso in grande quantità e la donna di oggi è uno spettro della ragazza che faceva impazzire banchieri e politici.

Eppure tra i suoi ricordi offuscati dalla cocaina emergono particolari inquietanti. Come quelli relativi alla scomparsa di Emanuela.

All’epoca la Minardi ha 23 anni, e De Pedis le chiede di accompagnarlo al Gianicolo. Lì arriva una Bmw guidata da Sergio, l’autista del boss della Magliana, con a bordo la giovane rapita. Sabrina sale a bordo della macchina e la porta ad un benzinaio del Vaticano, dove una nuova vettura prende in consegna l’Orlandi. “Renatino mi disse che non avevo visto niente, che non dovevo dire niente a nessuno”.

Ma è qui che le sue dichiarazioni si fanno lacunose e inverosimili. Secondo la Minardi infatti il corpo di Emanuela sarebbe stato gettato in una betoniera a Torvaianica insieme a quello di un altro bambino, Domenico Nicitra, figlio di un esponente della Magliana che andava punito. Ma la ragazza sparisce nel 1983, il piccolo Nicitra viene fatto fuori dieci anni dopo.

Incongruenze bollate come il delirio di una tossica, eppure confermate da altri personaggi. Da Antonio Mancini ad esempio, tra i fondatori della Banda della Magliana, oggi collaboratore di giustizia. Non sono bastate però a porre la parola fine sul caso, che è stato invece archiviato dalla Procura di Roma a maggio. Ora il film di Faenza prova a riaprirlo: “La magistratura ha chiuso le indagini con 88 pagine di archiviazione in cui ci sono tutti gli elementi per andare avanti – spiega il regista – E poi perché il Vaticano non tira fuori il dossier. L’ultimo metro verso la verità sarebbe questo”.

Il  vaticano. È lì che portano tutte le piste. Da quella della Magliana a quella dello Ior, dai Lupi Grigi ai servizi segreti. E poi Emanuela è cittadina vaticana, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia. È lì che bisogna guardare e cercare aiuto. Perchè “la verità non sta in cielo, ma in terra e questo film è un assist per fare quegli ultimi metri verso di lei”.

di Lamberto Rinaldi

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