Riflessioni su Budapest, paradigma dell’Europa centro-orientale

cerulli

Cosa ci si aspetta di trovare a Budapest? In quella che sembra essere un’appendice estrema dell’Europa, forse nemmeno troppo Europa, che prima di Orbán era conosciuta per il porno, per la povertà, per la lingua assurda, per la cucina, non altro, e ora è diventata estremamente nota per lo strapotere del suo premier, per le limitazioni alla libertà e alla stampa, e in ultimo per essere stato il primo Paese in Europa a circondarsi di filo spinato e a respingere aspramente i migranti, guidando il Gruppo di Visegrád sempre più verso una chiusura alle politiche di Bruxelles.
Un Est estremo, se non sulla cartina, nell’immaginario dell’altra estremità del continente, che guarda in quella direzione ancora come fosse un luogo di povertà e arretratezza, dove regnano la fame e le macerie della vecchia Unione Sovietica. La chiamiamo Europa dell’est, mentre loro si definiscono (guai a fare l’errore di dire il contrario, soprattutto in ambito accademico!) Europa centrale. Ebbene invero, qui c’è un po’ di tutti e due i punti di vista. Le macerie del comunismo sono state rimarginate nel migliore dei modi, come una ferita di cui è visibile la cicatrice.
Fondamentalmente, per trovare realtà difformi da ciò a cui siamo abituati, bisogna andare molto più in là. Questa parte del mondo cresce economicamente, a differenza della maggior parte degli altri Paesi considerati più ricchi. L’istruzione è di alta qualità, e gli studenti sono dinamici, studiano più lingue e le parlano perfettamente, viaggiano molto più di quanto in Italia sia mediamente immaginabile. Le città sono macchine ben oleate, con servizi efficienti, mezzi rinnovati, capillari, cavillosamente puntuali. Il capitalismo ha attecchito come non mai, forse per reazione, e maestosi centri commerciali sorgono più o meno ovunque, spesso nei centri storici delle capitali, al fianco di edifici con qualche secolo sulle spalle.
E Budapest è maestosa nei suoi ponti moderni e nelle sue luci scintillanti, una città enorme considerato l’esiguo numero di abitanti. C’è di solito un qualcosa di non palpabile nelle città di questa parte di mondo, che le distingue nell’aspetto e nell’architettura da quelle occidentali, in qualche dettaglio più che nell’insieme, ma Budapest ha un paio di caratteristiche che la rendono simile a Roma molto più di qualsiasi altra città del centro-est: lo stile di guida dei suoi abitanti, distante galassie da quello dei ligi e rispettosi cechi; la spazzatura che straborda da ogni secchio e che circonda le stazioni della metro; la confusione e la massa di persone stipate nei mezzi pubblici di superficie, molto più vecchi e fatiscenti di quelli degli Stati vicini.
Le stazioni, poi, che non chiudono anche quando termina il servizio, di notte si trasformano in caotici ostelli di vita parallela dove l’incredibile moltitudine di senzatetto che abitano la città si accampano e lì fumano, bevono, cantano e urlano, mentre spesso qualche agente di polizia scende e rimane in piedi in mezzo a loro, in silenzio, non si sa per quanto.
L’altra impressione è che la città si sia completamente rinnovata per essere all’altezza di una grande capitale, e i principali edifici rimandano alla storia più nel messaggio che nella sostanza. Sono monumenti moderni, con poca storia alle spalle, che cercano magnificenza nell’impatto delle grandi dimensioni, così come i grandi e luminosi ponti in acciaio che sovrastano il Danubio e collegano Buda a Pest.
L’altra impressione, trovandosi in Ungheria a ridosso del referendum indetto da Orbán, è che i giovani ungheresi siano più o meno tutti d’accordo su un punto: il regime di Orbán è fondato sulla corruzione, sui favori agli amici, che hanno carta bianca su qualsiasi cosa e che mangiano appena ne hanno l’occasione, come con l’ultima linea della metro di Budapest, finita dopo 10 anni e costata molto più del previsto, una delle più se non la più costosa d’Europa (mi ricorda una certa metro C), con stazioni inutilmente grandi e decorate.
Così come sono schizofrenicamente d’accordo col fatto che le sue politiche siano troppo puntate alla chiusura, mentale e spaziale, nei confronti dell’Europa, ma che sia sacrosanto non farne entrare nemmeno uno in Ungheria. È il discorso di difesa degli interessi e dell’incolumità del popolo ungherese che tiene in piedi Orbán e gli permette di fare della Costituzione ciò che vuole, seppure un primo indeciso sasso è stato gettato con questo referendum, dove più della metà del Paese ha dimostrato di ondeggiare nel mare del dubbio.
A conti fatti, per l’Europa intera, affetta dallo stesso male, questo pezzo di Mondo è probabilmente il punto di osservazione ideale da cui partire, e l’Ungheria, con le sue peculiarità, ancor di più.

di Simone Cerulli

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