Augusta: dove i veleni lasciano il segno

maria

l pesante lavoro delle saline sotto i raggi del sole, oramai un ricordo.

La misteriosa Torre Avalos sperduta in mezzo al mare.

L’incantevole santuario della Madonna dell’Adonai. L’infinità dell’azzurro mare.

Gli estasianti paesaggi di una città oramai diversa. Augusta, la città con i suoi monumenti e le sue tradizioni. La vita del paese scorre tranquilla e regolare. Ma presto decidono che per Augusta non c’è futuro.

La fine di un paese e la nascita di un polo industriale.  Deve sorgere il più grande polo industriale del sud.

In quella striscia di terra devono alzarsi le ciminiere delle raffinerie e in quel mare devono finire gli scarichi industriali.

Un futuro difficile per  gli abitanti. C’è chi resiste, chi non vuole andare via.

L’aria diventa irrespirabile, il mare  non è più limpido come prima.

Basta tenere lo sguardo basso per evitare di vedere il cielo grigio, invaso dalla nube che fuoriesce dalle ciminiere.

Basta non avvicinarsi troppo al mare, dove l’acqua si colora di rosso e i pesci muoiono o nascono malformati, per non accorgersi che non è più limpido.

Basta tenere il naso turato per non rendersi conto che il profumo del mare e degli alberi ha lasciato il posto a quello delle industrie.

Basta non alzare gli occhi per guardare l’orizzonte, per non scorgere decine di ciminiere che sprigionano fumi, notte e giorno.

Basta tapparsi in casa per sfuggire agli odori terribili delle raffinerie.

È l’inizio di una storia all’italiana dove l’inquinamento si mescola agli interessi economici, ai silenzi, ai lutti e alla vergogna.

Un altro caso allarmante che fa puntare i riflettori sul grave problema dell’ambiente.

Il triangolo industriale Augusta – Melilli – Priolo è una visione apocalittica, una ferita orrenda e profonda per le bellezze paesaggistiche e per la salute dei siciliani. 

In questo angolo di Sicilia l’aria è tossica e i tumori superano ogni statistica.

Una città che ha pagato troppo e che paga tutt’ora troppo la vicinanza con la zona industriale.

Da risorsa per la città, l’industria siracusana è così diventata la sua principale maledizione. 

È ai colossi del petrolchimico che bisogna attribuire questo deterioramento: hanno assassinato il suolo, hanno  ammorbato l’aria, hanno avvelenato il mare.

C’è una città in Sicilia, dove le donne abortiscono quattro volte più che nel resto d’Italia e una su tre interrompe la gravidanza perché il feto è gravemente malformato.

“Non arriviamo ai  60 anni”, dicono gli abitanti, il bollettino dei morti è continuo.

È la città di Augusta, provincia di Siracusa, dove sorge uno dei poli petrolchimici più grandi d’Europa.

Una contabilità dell’orrore che non ha conosciuto arresto e che si è sviluppata a ritmi impressionanti. 

Proprio qui, nel triangolo della disperazione, c’è chi ogni giorno denuncia gli effetti devastanti dell’inquinamento industriale.

Nel paese dei morti dimenticati e dei sopravvissuti, c’è chi chiede allo Stato giustizia e bonifiche.

Proprio qui ad Augusta, giorno dopo giorno, chiunque ha perso un familiare o un amico. Una strage continua e senza fine.

Proprio qui, in questo comune della Sicilia famoso per l’insalubrità dell’aria, dell’acqua e del sottosuolo, c’è chi riprende il proprio calvario fatto di biopsie, chemio e farmaci e non si sente uno sconfitto, ma lotta fino alla fine.

Proprio qui, tra le zone più inquinate d’Italia, dove dal 1990 è scattato anche l’allarme malformazioni genetiche: cinque volte superiori alla media nazionale, c’è chi afferma che vale la pena lottare, che non può e non vuole dimenticare.

E  ancora qui ad Augusta, c’è chi ricorda i propri cari con un sorriso e con una lacrima. Nella testa si sommano tanti episodi del passato e si velano gli occhi.

C’è chi da Augusta se ne è andato, ma pensa a quanti sono rimasti lì e si augura che abbiano il coraggio e la forza di lottare per la vita.

Questo non può lasciare indifferente nessuno e deve riscuotere l’attenzione che merita.

Eppure c’è chi continua a negare per guadagnarci.

Succederà qualcosa? Staremo a vedere.

Tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare avvelenato dalle polveri sottili dell’industria del petrolio, e soprattutto dall’indifferenza generale.

La politica si muove bene per far spazio alle industrie.

Non è forse Augusta, un altro pezzo d’Italia dimenticato dallo Stato?   

di Maria De Laurentiis

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