Circuiti integranti: i migranti nel mondo scolastico

Distratti dalla campagna elettorale referendaria, in bilico tra un Si e un No (ma chissà in quanti preferirebbero poter dire “Ni”), corriamo il rischio di dimenticare l’emergenza vera, quella dei migranti, che nel frattempo non si placa. Gli sbarchi continuano, le nostre frontiere a Nord sono di fatto chiuse, aumenta giorno dopo giorno il numero dei profughi che chiedono asilo politico in Italia e non in Europa perché costretti dentro i nostri confini dall’accordo di Dublino. Oltre 175.000 persone sono arrivate sulle nostre coste nel 2016 e circa 4.000 persone hanno perso la vita nel canale di Sicilia. Cresce il numero dei morti in mare, aumenta l’incertezza sul futuro di chi arriva. Ospitiamo attualmente in Italia 15.000 migranti negli hotspot, 135.000 in strutture d’accoglienza temporanee e 23.000 col sistema SPRAR, costituito dalla rete degli enti locali, che col supporto delle realtà del terzo settore cercano di garantire interventi di “accoglienza integrata”.

Alcuni ragazzi Richiedenti Asilo, inseriti nello SPRAR, vivono ai margini del mio paese in un appartamento sulla provinciale. Li vedo andare a piedi, la mattina, diretti alla fermata dell’autobus. Vanno in città a scuola di lingua italiana. La sera li incontro quando rientrano a casa e ripercorrono passo dopo passo l’orlo dell’asfalto della strada. Dondolano in mano una busta di plastica. Ne immagino il contenuto: la spesa per la cena, un bagnoschiuma, un detersivo: le stesse cose che abbiamo tutti in fondo a un sacchetto se la sera vogliamo cenare, se al mattino ci vogliamo lavare.

In paese però i ragazzi dello SPRAR non si vedono mai. Appaiono e scompaiono solo ai bordi della provinciale, avanti e indietro, pendolari della solitudine, figli di quell’andar per mare che può costar la vita. E anche se il paese è piccolo e tutti si conoscono (Corchiano, provincia di Viterbo, 4000 anime suppergiù), di loro si sa poco a parte l’appuntamento con l’autobus del mattino. Un tetto sulla testa ce l’hanno, l’accoglienza funziona, ma restano ancora da tessere per loro le reti complesse dell’integrazione.

Per la Treccani l’Integrazione (In-te-gra-zió-ne), sostantivo femminile è il “funzionale completamento mediante opportune addizioni e compensazioni”. Dice tutto e non dice niente, la Treccani. Non dice, per esempio, che tutto quello che di funzionale completamento i richiedenti asilo fanno -per ora- è andare a scuola in città per imparare la nostra lingua. Potrebbero restare in paese e insegnarci la loro.

Penso ai Circuiti Integrati, a come hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere. Un circuito integrato è un sistema nel quale componenti diversi (attivi e passivi) funzionano perché non hanno bisogno di reti di connessione essendo già “seduti” su un unico materiale che li collega. Se sostituiamo gli elementi attivi (transistor, diodi, ecc.) con alunni e professori, gli elementi passivi (resistori, condensatori, ecc.) con i muri le cattedre e i banchi, la piastra di materiale semiconduttore con l’idea di Sapere, allora possiamo paragonare un circuito integrato ad un’aula scolastica. Ma mentre un circuito integrato smista soltanto segnali elettrici, un’aula scolastica non si limita a smistare il sapere: ogni classe genera prossimità, suscita emozioni, coltiva amicizie, genera intese, protegge complicità, governa cambiamenti, attribuisce ruoli, educa e cresce. Entrare in un’aula scolastica è trovarsi già connessi senza bisogno di costruire legami.

Due dei “pendolari della provinciale”, richiedenti asilo e provenienti uno dalla Guinea e uno dalla Costa D’Avorio, accettano di entrare gratuitamente in quel blocco logico e integrato che si chiama Scuola, di varcare la porta di ogni classe e di mettersi al servizio degli alunni, diventare lettori di madrelingua francese, regalare il loro corretto parlare. Uno dei due -laureato in Storia- contribuirà anche ad un percorso interdisciplinare in vista dell’esame della terza media.

Non serve tessere reti se esiste un luogo di connessioni già pronto, predisposto per la conoscenza, lo scambio, l’integrazione.

Portare due migranti all’interno di un istituto scolastico, farli diventare per i nostri figli un’abitudine, sembra facile. Non lo è. È possibile se ci si lavora un po’. A noi sono serviti anni di impegno e di attenzione costante a quelle Barche di Carta che attraversano il Mediterraneo traghettando migranti, la sinergia di amministratori, insegnanti e associazioni, ma tempo pochi mesi e quegli uomini che camminano soli fino al margine del paese non saranno più clandestini tollerati a fatica, ma “professori aggiunti” di lingua francese per gli studenti delle scuole medie. Non sconosciuti venuti dai confini della terra a chiedere asilo, ma persone in grado di essere “funzionale completamento” del nostro mondo, con buona pace della Treccani.

di Daniela Baroncini

 

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