Il freddo dentro. Clochard in cerca di un rifugio.

Giulia Montefiore

Nelle strade di Roma, ogni sera, c’è chi smette di camminare e si ferma a dormire. Se alla luce del sole il mondo rende questi concittadini invisibili, le loro sagome acquistano contorno al calare dell’oscurità. La notte, come la morte, è per tutti uguale. Il sonno non si cura di dove sei.
Giacomo, nome di fantasia, si raggomitola stretto nel suo sacco a pelo. E’ così umido che il freddo non va via, non serve a niente alitare contro il tessuto. Anzi, è quasi peggio. Quando il gelo torna implacabile, è più tagliente che mai, penetra nella carne ed entra nelle ossa, logorando i tessuti già provati dalla solitudine. Il disperdersi di quel calore effimero manda solo l’anima in frantumi. Anche il cartone che separa il sacco dal marciapiede è fradicio. E’ piovuto a vento e sotto la tettoia è un lago. Giacomo si gira, è già tardi e i passanti sono più rari a via Marsala, i treni sono tutti fermi in stazione oppure già lontani. Solo un paio d’ore prima una signora camminava svelta tenendo una bambina per mano. Si è fermata, le ha stretto la sciarpa intorno al collo e tirato giù il cappello. “Fa freddo, copriti, che adesso andiamo a casa”. Giacomo era già nel sacco a pelo, la bambina lo ha guardato ma i suoi occhi non sapevano come spiegarle, e perciò hanno taciuto.
Si gira dall’altra parte e vede la fila di sacchi e coperte, di uomini e donne, che intanto si è allungata. Forse quando le strutture per l’emergenza freddo verranno di nuovo aperte qualcuno troverà un letto, un tetto. Poi sarà di nuovo in strada. E’ evidente che è il freddo il solo a poterti uccidere a Roma. Isolamento, solitudine, depressione non sono poi così tossici per il Comune.
Maria invece dorme sugli autobus. Allo scatto della mezzanotte sale su un notturno ogni volta diverso e tenta di riposare. A volte salgono ragazzi chiassosi, soprattutto di venerdì e sabato. Maria si rincalca nel suo cappotto, stringe tra le gambe la sua busta e tenta di non sentire. Non sentire che quei ragazzi sono insieme. Non sentire lo sbuffo divertito del giovane che riceve un messaggio dalla sua fidanzata. Non sentire la stanchezza della mamma che ha finito adesso di lavorare, ed è dai suoi figli che adesso sta tornando.
Intanto una macchina sfreccia su via di Pietralata. Momentaneamente rallenta quando scorge una fiamma al lato della strada. L’uomo nell’auto non lo sa, ma quelli sul marciapiede sono Sandro e Francesco, Ahmed e Jafar, Sam e Thomas, e danno fuoco a dei cartoni per scaldarsi. D’altronde anche lui è uscito di casa coperto quella sera. Fa freddo, eppure l’uomo è sdegnato dal fuoco, non dal gelo. Sandro e Francesco non vogliono più dormire in baracche di lamiera, un loro amico ha perso la vita carbonizzato l’anno prima e da allora hanno deciso che si preferiscono infreddoliti a morti.
Sono anche queste le vite che affollano Roma, vite che camminano a fianco di quelle che un tetto e persone care a cui chiedere aiuto quando qualcosa va ben più storto di quello che avrebbero mai immaginato, le hanno. Eppure, spesso, queste non sono vite che noi consideriamo (tali).

di Giulia Montefiore

Print Friendly, PDF & Email