Freddo Natale

Avevo 6 anni quando andai ad accompagnare con i miei genitori mio zio alla stazione Termini di Roma.

Era dicembre, la città era addobbata per il Natale, il freddo mi congelava.

Nel viaggio di rientro scoppiai dal nulla in un pianto irrefrenabile.

Mia madre preoccupata mi chiese” Piccola perché stai piangendo?” “ Ho tanta paura, da grande non voglio diventare come quel signore!”

Per la prima volta avevo visto un senzatetto.

Era accasciato davanti la porta d’ingresso. Il viso stremato, la barba incolta, maleodorante.

Le scarpe erano consumate, sporche, un colore irriconoscibile.

Era accerchiato da cartoni e qualche coperta sporca, sulla destra accanto ai piedi una ciotola con poche monete.

Alcuni passanti lo scontravano e gli urlano contro perché era d’ intralcio all’entrata.

Alcuni genitori proteggevano i propri figli impauriti da chissà quale azione improvvisa quell’uomo fosse in grado di compiere.

Altri lo guardavano con pietà e continuavano per la loro strada, altri accennavano un sorriso, si fermano rovistando nella borsa, nelle tasche dei pantaloni alla ricerca di qualche monetina che potesse colmare il vuoto in quella ciotola ma nulla di più.

Come si può finire cosi? Ero terrorizzata da bambina e sono incredula e amareggiata ora che sono un’adulta.

Li chiamano con appellativi diversi: clochard, barboni, homeless ma sono pur sempre uomini, donne, bambini. Secondo la commissione delle nazioni unite si parla di più di cento milioni di clochard in tutto il mondo, da San Paolo a Budapest, Los Angeles, Buenos Aires, Mumbai, Italia nessuno escluso.

Sono ovunque. Invisibili anche sotto i riflettori di un lampione , inadeguati all’ingresso di un museo. Sono considerati lo scarto della città , il disagio , la povertà, rappresentano la parte sporca, non curata, il lato oscuro che preferiamo non vedere.

Quando il sole tramonta e i dettagli diventano meno visibili loro possono muoversi liberamente senza essere giudicati , cacciati, emarginati, spostati e raramente aiutati.

Mentre la maggior parte di noi torna a casa dal lavoro, si riunisce intorno ad una tavola imbandita, accende le luci di un albero che simboleggia il Natale, il calore, la famiglia , oro sono fuori alla ricerca di un tetto dove passare la notte. Macchine, edifici abbandonati, ponti, angoli di strada.

Radunano i loro pochi averi e si abbandonano stremati. Il Natale per loro è più tagliente di una lama. Li ferisce dentro e sanguina lentamente. Se guardate bene poco dopo quell’ albero addobbato quando la musica natalizia si sente a malapena, proprio dietro l’angolo, sopra quella panchina appartata, sotto qualche coperta c’è un uomo.

Solo, tremante, con la sua storia , il suo passato e magari l’ amaro ricordo di una Natale intorno ad un albero con i suoi cari.

Abuso di alcool, droga, sfratti, abbandoni familiari, chiunque sia accasciato su quella panchina accerchiato da qualche straccio e pochi cartoni è li per un triste motivo che difficilmente è scelta.

Credo che tutti noi possiamo sbagliare, cadere in trappola, essere risucchiati in un vortice e sentirci terribilmente fragili per poterci rialzare. Credo anche che ognuno di noi abbia il diritto ad una seconda possibilità per poter amare, lavorare, guadagnare, scartare un regalo la vigilia di Natale, poter piangere di gioia, abbracciare i propri figli e vederli crescere, poter Vivere e SMETTERE di Sopravvivere.

di Sara Berettoni

 

Print Friendly, PDF & Email