Ivan Nikov Galochev è morto tra le fiamme

Ivan Nikov Galochev è morto tra le fiamme della sua baracca di cartone e lamiera arrugginita, pochi giorni prima di Natale. Ivan Nikov aveva 20 anni, è morto bruciato nel “ghetto dei bulgari” tra degrado e caporali. Ivan si spaccava la schiena nei campi, la sua vita non era quella di un ragazzo della sua età, non aveva il cellulare, non aveva le Nike ai piedi, non aveva lo scooter, il pc gli occhiali. Aveva solo le cose che portava indosso, le cose con cui è bruciato vivo. E’ morto nella periferia di Foggia, lontano migliaia di km da casa. E’ morto solo tra le lamiere contorte urlando. Lo hanno trovato così. Accartocciato su se stesso. Un tizzone carbonizzato, irriconoscibile.

Ivan è uno dei tanti che moriranno di freddo e di fuoco. L’emergenza freddo ogni anno uccide più della mafia. Ogni anno ci imbottiscono di parole su emergenza freddo, ma di fatto nessuno agisce. Solo i volontari, la Caritas e qualche altra associazione, con pochi mezzi e poche risorse, riescono a limitare l’ecatombe di morti per assideramento o da “fuoco amico”.

Fuoco amico, un fuoco che uccide, con il monossido di carbonio, con stufette mal funzionanti, con la disperazione di chi cerca un po di sollievo e trova la morte. E’ il secondo incendio in pochi giorni nei ghetti del foggiano. Il primo uomo ha riportato ustioni gravissime, Ivan è morto. Un terzo rogo si è verificato in Calabria, nella tendopoli di Rosarno e San Ferdinando, dove le fiamme, partite da un falò che i migranti avevano acceso per riscaldarsi, hanno ferito due di loro. Ma questo non fa più notizia. La stampa si occupa di cose ben più importanti della vita dei nuovi schiavi d’occidente. Una situazione drammatica, che tutti fanno finta di non vedere, solo papa Bergoglio non si dimentica mai di loro, degli ultimi della terra. Solo Francesco ha parole buone per loro, ma resta isolato dal mondo cattolico e dalla Curia, che rimane immobile difronte a tanta catastrofe. Qualche povero prete, isolato anche lui, cerca di fare il possibile, ma per una situazione di questa portata c’è bisogno di una solidarietà e accoglienza vera, senza confini.

Ivan Nikov è morto, aveva ventanni, è morto bruciato nel ghetto bulgaro dove vivono trecento persone, con almeno cento bambini. Ora non hanno neanche più le baracche. Ora non hanno neanche una stufetta mal funzionante. Ora stanno peggio di quando stavano peggio. Ivan ora è al caldo, tra le nuvole di vapore che lo cullano, e guarda, da lassù, l’inferno in cui viveva e dove ha lasciato cento bambini, soli, al freddo della notte. Bambini che non vedranno mai un presepio, un albero di Natale, e non avranno regali da scartare. Ivan da lassù vede e piange, non sente più il dolore lancinante delle fiamme che lo hanno divorato vivo. Ivan ora piange per i suoi piccoli “bulgari”, al freddo, senza stella cometa e senza nessuno che gli racconti la storia di Babbo Natale.

di Claudio Caldarelli

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