Cinque anni fa l’ultimo addio a Giorgio Bocca, giornalista.

Il 25 dicembre 2011 morì a 91 anni Giorgio Bocca, un monumento del giornalismo italiano la cui epopea ha attraversato un secolo di storia del nostro paese. Fu giornalista in varie testate tra cui Il Giorno e La Repubblica, accanto al fondatore Eugenio Scalfari fin dal 1976. Scrisse saggi e lavorò anche in TV. Una volta disse che chi vuol fare carriera non deve mai dire quello che pensa: lui però c’è riuscito. Come nel 1948, quando alla Gazzetta del Popolo gli chiesero per chi avrebbe votato al referendum e lui rispose “repubblica”. Ma siccome la SIP, padrona del giornale, sapeva che il PCI voleva nazionalizzare l’azienda, in redazione tifavano tutti per i monarchici. E da quel momento Bocca fu malvisto da colleghi e superiori. Da giovane fu partigiano ma prima era stato fascista. Una contraddizione ? No. Anzi forse tra le due cose c’era una relazione di causa ed effetto, come per i molti che allo scoppio della guerra furono chiamati a combattere nel Regio Esercito e poi passarono alla lotta partigiana. Ma fu la penna il vero fucile di Bocca. E non risparmiò chi, come Pansa, equiparò fascismo e Resistenza nel tentativo di condannare – e quindi assolvere – tutti. Anche perchè Mussolini era alleato di Hitler e il rischio che un nuovo Adolfo potesse affermarsi anche in Italia, Bocca lo denunciava da sempre. E anche se la cosa oggi può far sorridere, ci mise in guardia pure da Berlusconi. La storia gli ha dato torto ma come non concedergli il beneficio del dubbio quando diceva che tante più il magnate di Arcore ne combinava quanto più la gente lo votava. Anche Tangentopoli, vista oggi, aveva quasi un senso: allora almeno parte dei soldi finiva ai partiti “ma – disse Giorgio nel 2010 – i corrotti di oggi si vendono per due massaggiatrici. La corruzione dilaga al punto che c’è gente che ruba senza nemmeno sapere perché”. Con Bocca si poteva o no essere d’accordo ma andava letto. Anche quando, all’inizio della parabola leghista, parteggiava per Bossi & co. che ci avevano liberati dalla Prima repubblica, salvo poi accorgersi che “questi qui oggi rubano ancor più della DC e del PSI”. O come quando era entusiasta di Craxi, che poi definì “il Machiavelli della corruzione mentale degli italiani”. A differenza di molti baroni del giornalismo che in età avanzata diventano dei tromboni insopportabili, le sue analisi furono lucide fino alla fine. Non fu mai cerchiobottista se non in fatto di calcio, lui che da juventino amò il Grande Torino. Perchè non si poteva assolvere tutti. Valeva per fascismo e Resistenza e valeva per Craxi, che in un discorso alla Camera disse che siccome rubavano tutti, allora non rubava nessuno. Eh no, le cose non stavano così.

di Valerio Di Marco

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