Giuseppe Scarso. Morire ustionato a 80 anni, ucciso dai bulli

Il tempo passa e lascia sul viso tracce leggere, a volte solchi, che raccontano di sorrisi, di pianti, di attese. Il tempo passa e la mente, quando resta lucida, diventa un tesoro di ricordi, di racconti, di esperienza.
Gli anziani sono un mare da cui attingere, un mondo già vissuto che ha voglia di raccontarsi o di ascoltare, un bisogno di vivere come un dono ogni giorno che resta. Gli anziani dovrebbero essere rispettati, accolti e amati.
Non è stato così per Giuseppe Scarso, un uomo di ottant’anni che ha subito, in quella fase della vita in cui si diventa più deboli, offese, oltraggi, insulti, attacchi incendiari, di cui l’ultimo, infine, si è rivelato letale.
I suoi capelli bianchi, il suo aspetto da uomo buono, capace solo di difendersi con qualche rimprovero a voce alta, non hanno sortito nei cuori di chi lo ha aggredito nessun effetto.
E’ morto dopo quasi tre mesi di agonia, all’ospedale Cannizzaro di Catania, per le conseguenze delle ustioni provocate da una banda di bulli di quartiere.
Dopo gli insulti e i fastidi per strada, i giovani hanno infatti ben pensato di attaccare l’uomo dentro la sua stessa casa. Entrati di notte, pare dopo averlo malmenato, gli hanno buttato sulla testa, sulle spalle, dell’alcool, dandogli poi fuoco. Possiamo solo immaginare la paura, il dolore, la lunga sofferenza in ospedale nei successivi giorni, quella lotta contro la morte, attimo dopo attimo, che si è conclusa con la sua sconfitta nel mese di dicembre.
Non è facile comprendere come si possa perseguitare, far soffrire una persona, a maggior ragione se indifesa perché anziana e indebolita dagli anni, senza sentirsi vuoti e inutili. Ragazzi che potrebbero ridere, far sorridere, gioire, preferiscono acquistare una bottiglia di alcool per dare fuoco ad un uomo. Probabilmente per quella che considerano una bravata di cui ridere.
Giuseppe Scarso è morto così, ucciso da giovani anaffettivi, senza nessuna capacità di sentire la sofferenza del prossimo. Chiamare il loro gesto “bravata” non rende l’idea del dolore che hanno inflitto al pover’uomo. Si deve poter contare su un giusto corso della giustizia, che consideri la gravità del gesto. Sulla loro recuperabilità in seno alla società e sulla opportunità del recupero non è semplice pronunciarsi, perché se Giuseppe Scarso lo avessimo visto soffrire con tutte le conseguenze gravissime che creano le ustioni non è poi semplice immaginare una reazione proporzionata e volta al successivo reinserimento. Il loro gesto merita, intanto, una punizione senza sconti. Poi si vedrà.

di Patrizia Vindigni

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