Le cose dei poveri

Nel gennaio del 1926 Marina Cvetaeva si è trasferita a Parigi. E’ un’esule russa, zarista, ed è una poetessa. Non ha mai conosciuto l’agio nella sua giovane vita, guidata solo dall’amore per la scrittura. Nella capitale francese sperimenta il dolore di una sorda emarginazione, confinata in uno dei tanti caseggiati di diseredati, nelle – già gremite allora – banlieue parigine.

E lì, in un infernale andirivieni di poveri e reietti, compone il ‘Poema della scala’, testimone e parte attiva nella vita degli ultimi, stipati come in un formicaio in quei casermoni senza anima, a scendere e salire le scale della vita portando con sé – ovunque e per sempre – le loro povere cose.

In quel freddo inverno del ’26, la Cvetaeva è testimone della fine. Solo il fuoco, inevitabile; solo le fiamme del rogo – ieri come oggi – possono metter fine alla vita degli ultimi nella fiamma in cui s’incendia quel loro ‘niente’ che è tutto quello che hanno.

Alla forza della sua poesia il merito di tracciare l’arcata invisibile e misconosciuta che unisce – ancora – il destino degli ultimi del mondo. E’ passato un secolo. Sembra domani.

Le cose dei poveri. Forse la stuoia è una cosa?

E’ una cosa quest’asse? Le cose dei poveri,

pelle e ossa,

tutta carne, soltanto angoscia.

Lo scaffale? Un caso. L’attaccapanni? Un caso.

Un caso pure questo fantasma di poltrona.

Cose? No, sterpi e rami secchi.

Tutto un bosco d’ottobre per intero.

Dalla migliore di tutte qui, disonorata

sarebbe la casa? Macchè, la soffitta vostra!

Soltanto qui è divenuta cosa la cosa.

Per voi un sopracciglio insorto a punto ‘?’.

Della miseria timida masserizie!

Ogni coltello conosciuto di persona

come una creatura che aspetta il mattino

con qualcosa qui, con tutto fuori dalla finestra.

Perché non è un tavolo, ma marito, figlio.

Non è un armadio, ma il nostro armadio.

Perché i cuori e le anime non si danno

al deposito bagagli.

Le cose de poveri, più scipite e più secche:

più scipite del tiglio, più secche dei ceppi,

le cose dei poveri – semplicemente anime –

è per questo che bruciano così facile.

di Luca De Risi

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