L’omicidio di Salvatore Aversa e Lucia Precenzano

E’ un sabato pomeriggio di inizio anno, per le strade resistono luci e insegne natalizie, e nella magica atmosfera degli ultimi giorni di ferie, Salvatore e Lucia fanno una passeggiata in centro.
Devono sbrigare banali commissioni e per un momento prendono strade diverse: quando una congiunzione astrale, simile a quella che li aveva fatti incontrare tanti anni prima, li riporta vicino la loro macchina, partono gli spari. Diciassette colpi lasciano orfani 3 figli. A sparare è una Calibro 9, rubata due mesi prima dalla casa di un poliziotto: verrà lasciata accanto ai corpi crivellati, in segno di derisione delle forze dell’ordine.
Alle 19 del 4 gennaio 1992 moriva il sovrintendente di polizia di Lamezia Terme, Salvatore Aversa (59), e sua moglie, Lucia Precenzano (55): il tutto accadeva in Via dei Campioni, e forse non a caso.

Erano gli anni in cui il comune di Lamezia Terme era stato sciolto per infiltrazioni mafiose, le cosche cominciavano ad investire generosamente nel traffico di droga e l’oro che puzza, il vasto commercio dei rifiuti, cominciava a mietere le sue prime vittime: Aversa aveva messo le mani su tutto questo, facendo tremare e sperare la Calabria intera, meraviglia e dannazione del nostro Stivale.

Fu un omicidio tanto cruciale da richiedere un importante depistaggio e un’accurata pianificazione. Il killer fuggì a bordo di una Fiat Uno, fusione di due furti differenti: la macchina era quella rubata a Catanzaro il 31 dicembre, ma la targa corrispondeva all’auto scomparsa il 1 gennaio, a Sant’Eufemia.
Il climax del fango, però, fu gettato dalla giovane Rosetta Cerminara: pochi giorni dopo l’accaduto, mentre le indagini brancolavano nel buio, una coraggiosa ragazza si consegna come testimone oculare alla polizia, slancio che le varrà una medaglia al valore e notevoli benefici economici, riservati ai collaboratori di giustizia. Accusa, senza battere ciglio, Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro: il primo viene condannato all’ergastolo, il secondo avrebbe scontato 25 anni di galera, se non fosse deceduto nel 1997. Eppure erano entrambi innocenti, magari non per definizione, ma non avevano certo compiuto loro questo omicidio.
Quello a cui nessuno fece caso inizialmente era che Molinaro aveva avuto una storia con la Cerminara: si trattò di una vendetta in piena regola, legata ad una vecchia, brutta storia. Rosetta accusava da anni i due amici di averla violentata, ma il 12 maggio 1995 furono sollevati anche da questa accusa.

Se le indagini non fossero state mosse anche da un nobile sentimento di amicizia, probabilmente non ci saremmo mai avvicinati alla verità: Arturo De Felice, il vicequestore amico del sovrintendente Aversa, appurò lo stampo “terroristico-mafioso” dell’omicidio.
Eppure sapere come sono andate realmente le cose, è stato possibile solo attraverso una diretta confessione: nove anni dopo, Salvatore Chirico si denunciò come esecutore materiale e Stefano Speciale come complice, nella funzione di autista/palo.
Stefano divenne in seguito un collaboratore di giustizia e fummo allora in grado di ricostruire tutto il quadro: Antonio Giorgi, boss dell’omonima cosca, aveva un conto in sospeso con i due uomini, legato ad una partita di droga non pagata, pari a 60 milioni. “Se uccidete i coniugi, ve li abbuono”. Lavorarono su commissione delle famiglie più potenti di Sembiase e di tutte quelle cosche locali che Aversa aveva messo in difficoltà con le sue numerose indagini nel corso degli anni, soprattutto recentemente, scoprendo un importante traffico di droga.
Tutte le persone coinvolte erano state denunciate anni prima, ma il Gip si era sempre rifiutato di eseguire l’arresto: dopo gli eventi del ’92, si fece appello al Tribunale di Catanzaro e allora qualcuno fu messo in manette, ma nel frattempo gli Aversa erano stati uccisi.

Per quanto ingiusto, alla morte di lui riusciamo a dare, non una spiegazione, ma sicuramente un movente, in particolare da quando aveva cominciato a lavorare sulla complicità stato-mafia: ma la scelta di uccidere anche lei davvero rimarrà sempre un punto interrogativo. E’ stata avanzata l’ipotesi per cui Lucia sia finita nel mirino in virtù del profondo amore che la legava a Salvatore: quella complicità d’altri tempi, avrebbe potuto spingere l’uomo a confessare aspetti importanti delle sue indagini alla moglie. Aversa ha fatto paura alle cosche anche da morto e nonostante siano tornati più volte a depredare la tomba dei due coniugi, le cosche non li hanno privati della possibilità di sostenersi a vicenda, nella vita come nella morte.

Risuona oggi, come una lama tagliente, il commento di Soriero, segretario dell’allora PDS, nelle ore successive all’omicidio: “il governo ha taciuto mentre deputati Dc e Pci isolavano forze dell’ordine e magistrati”.

di Irene Tirnero

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