Antonino Santaniello: dalla Germania a vittima del male chiamato Camorra

Antonino, detto Totonno, è un uomo come tanti, di Quindici, in provincia di Avellino. Ha 49 anni.

Lui sa cosa significa faticare: da piccolo, con suo padre e suo fratello Andrea, era andato a lavorare in Germania, vicino Stoccarda. Lì si lavorava duro e Totonno aveva fatto molti sacrifici per mandare i soldi a casa, dove c’erano sua mamma e le sue sorelle. Qui, Antonino incontra la sua futura moglie, Carolina, emigrante e originaria di Quindici proprio come lui, costretta a lavorare dopo la perdita del padre. Nel 1997 si sono sposati nel loro paese natale, per poi tornare in Germania: la loro unica speranza per trovare un lavoro e costruirsi una famiglia. In Germania sono nate le loro prime due figlie, gemelle, Graziella e Rosalinda. Lì si viveva sicuramente bene e, soprattutto, c’era lavoro, ma Totonno aveva sempre in mente l’idea di tornare a Quindici e di crescere i suoi figli lì, dove sono cresciuti i loro genitori. Nel 1982 così fu: si torna in Italia, a Quindici, per non tornare più. Un anno dopo, la coppia dà alla luce il terzo figlio, un maschietto: Arturo.

La competenza di Totonno e di suo fratello Andrea nel settore edile, diedero la possibilità ai due di ricoprire un ruolo fondamentale nella ricostruzione post-terremoto, così aprono una ditta. In seguito, Totonno apre il suo magazzino di materiali edili.

Tanti sacrifici, tanto lavoro a testa bassa, e la società cresce sempre di più: Antonino può comprare nuovi attrezzi, può ampliare il suo magazzino, può costruire una nuova casa per la sua famiglia ed iniziare a progettare la costruzione di altre. Un uomo instancabile quindi, dedito al lavoro e alla famiglia.

Qualcuno inizia a chiedere dei soldi a Totonno: il cosiddetto “pizzo”. Lui non ha alcuna intenzione di pagare. Perché un uomo che ogni mattina si alza presto per lavorare e non chiede altro che farlo dignitosamente, dovrebbe dare i guadagni derivanti   dal suo sudore e dai suoi sacrifici ad un’organizzazione malavitosa?

Il 31 gennaio 2002, un giorno come tanti altri, Antonino Santaniello sta chiudendo il suo magazzino dopo una giornata di lavoro.

Il suo rifiuto, a quanto pare, secondo qualcuno,doveva essere punito. Come a dire: ecco, questo è quello che succede a chi non paga, a chi segue il suo esempio.

Qualcuno, con una dignità talmente bassa, talmente inesistente rispetto a quella di Antonino da non avere il coraggio neanche di farsi vedere, gli spara alle spalle quattro volte, con un’ arma provvista di silenziatore. Nessuno, quindi, sente gli spari.

Lo trova qualche minuto dopo suo figlio, appena diciottenne, ma morirà durante il tragitto verso l’ospedale.

Magari, se Totonno potesse tornare indietro, forse sceglierebbe di restare in Germania, con la sua famiglia, lavorare e vivere lì, lontano dal suo Paese, con tutta le mancanze che ne sarebbero comportate. Almeno, lì, sarebbe ancora al fianco dei propri figli e sarebbe un uomo felice, non la vittima di un male chiamato Camorra.

di Ludovica Morico

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