Bambini e violenza invisibile

Certi lividi i piccoli non li portano sul corpo, ma sulla psiche e sul cuore. E a provocarli sono l’indifferenza, la disistima e la sopraffazione dei genitori.

Un giorno in piscina mi capitò di sentire una mamma che dava una ripassata alla sua bambina piccola, perché si rifiutava di mettere la testa sott’acqua durante la lezione di nuoto.

“Sei una piccola vigliacca” ripeteva alla bambina che singhiozzava disperatamente.

La piccola aveva sì o no tre anni.

“Qualche volta mi riesce davvero difficile credere che tu sia veramente mia figlia”.

“Ogni settimana è la stessa storia: io e papà siamo costretti a vergognarci di te”.

Queste di certo non erano le cose che una mamma poteva dire, è lo sfogo di una madre abituata ad infierire.

Avrei voluto in quel momento prendere le difese della piccola, ma non intervenni, trattenuta dal pensiero che la madre aveva tutto il diritto di dirmi di badare ai fatti miei. Ero furibonda.

Ma di una cosa ero assolutamente certa: la scena a cui avevo assistito era per certi versi non meno brutale di una bastonatura.

Era un classico caso di violenza emotiva sui minori.

Ci sono parole, azioni, comportamenti che possono risultare ancora più dannosi di uno sfregio, perché feriscono, tagliano e segnano in modo indelebile la coscienza.

Si tratta di una violenza che colpisce il benessere emotivo e psicologico della vittima.

Questi lividi non si vedono, ma chiunque abbia a che fare con i bambini sa che il problema ha assunto dimensioni preoccupanti.

Gli effetti della violenza emotiva possono essere devastanti quanto quelli della violenza fisica.

Tali aggressioni non agiscono direttamente sul piano fisico come uno schiaffo, una spinta, un calcio, ma giorno dopo giorno, creano un clima invivibile ed attuano un processo di distruzione psicologica, dove le parole e gli atteggiamenti possono ferire profondamente come pugni, possono essere usate per umiliare e pian piano distruggere una persona.

La cosa che più colpisce è che questo fenomeno inizia proprio in famiglia, dove invece ognuno dovrebbe godere di maggiore sicurezza.

Violenze che non lasciano segni sul corpo, ma che feriscono profondamente l’anima, la personalità e la dignità.

Riccardo, cinque anni, viene rimproverato per essere un incapace.

La madre ha l’abitudine di rimproverarlo dicendogli: “Ma è possibile che sbagli sempre tutto!” o “Non capisci mai niente!” o “Ma non sai nemmeno fare questo!”, emette un giudizio che trasmette mancanza di stima e fiducia in assoluto.

Parole come “sempre” e “mai” contengono implicita l’accusa nei confronti del bambino di non mostrarsi mai all’altezza delle aspettative dei genitori. Un semplice avverbio può trasformare poche parole in una condanna.

Rispondendo al bambino: “Ma come non sai farlo? E’ così facile”, lo umilia.

Intervenendo ad ogni errore o tentennamento del figlio, dicendogli: “Meglio che lo faccia io”, lui penserà che lei lo ritiene un incapace.

In tal modo la madre mortifica il figlio piccolo mediante un continuo tartassamento verbale, teso a svilire tutto ciò che fa e a ingigantire ogni sua minima mancanza.

Non esiste solo la violenza fisica, dunque, ma anche una violenza più subdola, perché non facilmente riconoscibile né da chi la fa, né da chi la subisce.

Addirittura il bambino potrebbe convincersi di meritare un tale maltrattamento e, anzi sentirsi in colpa, non potendo accettare che i genitori, che lui ama incondizionatamente, gli facciano del male. Il piccolo si convince di essere veramente un buono a nulla, un bimbo cattivo o senza coraggio.

Molti bambini vilipesi senza pietà dai genitori credono di meritarsi un simile trattamento.

Tommaso, un bambino di cinque anni, si ruppe il braccio cadendo mentre giocava all’asilo.

In ospedale le infermiere si accorsero che appariva insolitamente chiuso in se stesso per un bambino della sua età e rifiutava di parlare con chiunque.

Quando il pediatra suggerì alla mamma di Tommaso di sentire lo psicologo dell’ospedale a proposito del comportamento del bambino, la donna andò su tutte le furie.

“Sono stata io a dirgli di non parlare con nessuno, adulto o piccolo che sia, se non è gente di mia conoscenza” disse con ira “e non intendo rovinare la sua educazione soltanto perché ora è all’ospedale”.

In seguito il pediatra venne a sapere che la donna aveva detto a Tommaso che sarebbe morto se avesse rivolto la parola a degli estranei.

Il ricorso a minacce così estreme per soffocare la naturale curiosità di un bambino è una forma di violenza emotiva abbastanza comune, secondo psicologi e psichiatri.

Stiamo parlando del tipo di dominio che il genitore esercita per assumere il controllo di ogni azione del figlio.

Il genitore in questione costruisce un muro invisibile dicendo al figlio che gli succederanno cose terribili se non obbedirà alla lettera ai suoi ordini.

Tutti i genitori tendono, in un modo o nell’altro, a dominare i figli. Ma c’è una bella differenza tra dominare con l’educazione e farlo con la crudeltà.

È piuttosto facile identificare la violenza fisica e, perciò, anche condannarla.

Esistono, però, ferite che non rimangono sulla pelle, che sono più profonde e, perciò, meno visibili, ma talvolta non si rimarginano mai, rischiando di condizionare tutta la vita dei bambini.

Uno schiaffo sappiamo cosa sia, una sculacciata o uno scapaccione anche. Più difficile, invece, è comprendere come anche le parole possano provocare dolore.

Non volendo, a volte si assumono con superficialità alcuni atteggiamenti apparentemente innocui, che alla lunga, invece, diventano distruttivi e andrebbero assolutamente evitati.

Ripetuti episodi di ricatti psicologici, manipolazioni, indifferenza, incuria, ostilità, mancanza di adeguati scambi emotivi e di ascolto dei loro bisogni o anche totale rifiuto.

Alcuni esempi:

Paragonare il proprio bambino ad altri è sbagliato.

Evitiamo di dirgli: “Vedi com’è bravo il tuo cuginetto!” e non mostriamoci delusi se prende un brutto voto o non vince una gara. Non deve mai dubitare del nostro amore, né pensare sia legato ai suoi successi.

Non minacciare di picchiarlo, mandarlo in collegio, non volergli più bene, andare via, chiuderlo in una stanza al buio, o altre cose simili. Non sono frasi piacevoli da sentirsi ripetere e poi hanno forse valore educativo?

Non intimoriamolo neppure dicendo che, se sarà monello, se lo porterà via un mostro, l’uomo nero.

Qualche punizione può anche servire, ma mai deve sfociare in maltrattamento psicologico o fare leva su paure o punti deboli del bambino.

Etichettare un bambino contribuisce a farlo sentire “diverso”.

Evitiamo di dirgli “cattivo”, “ignorante” o “timido” e di screditarlo, soprattutto pubblicamente.

Che assurdità, poi, deridere un maschietto definendolo “femminuccia” solo perché, magari, è molto sensibile o piange spesso, o definire una bambina “maschiaccio” solo perché le piace giocare a calcio o odia le gonne!

Anche se il bambino si comporta in modo sciocco o sbagliato, non definiamolo “sciocco” o “incapace”, ma limitiamoci a criticare il suo comportamento e non lui.

Dire sempre “Dopo” o “Aspetta” o far finta di ascoltarlo, ma ignorarlo ripetutamente continuando a fare altro, equivale ad un calcio nel sedere.

Il bambino deve capire che noi abbiamo anche altro da fare, ma non sottovalutiamo né banalizziamo i suoi tentativi di coinvolgerci e stare con noi.

In fondo, possiamo sempre trovare cinque minuti da dedicare alle coccole o a ridere insieme di cosa ha combinato a scuola, anche se abbiamo una montagna di panni da stirare, o un lavoro importante da finire.

Evitare toni alti ed aggressivi.

Molte volte le parole feriscono quanto le botte, se non di più, soprattutto se ripetute quotidianamente e dalle persone che il bambino ama di più: i suoi genitori.

Mette tristezza, ma anche rabbia vedere come queste ferite rendano fragili per sempre.

La famiglia è il primo ambiente di vita del bambino, un luogo in cui egli dovrebbe trovare sicurezza, amore e protezione ed essere accompagnato, nelle diverse fasi del suo sviluppo.

Troppo spesso bambine e bambini rimangono inascoltati: per paura di raccontare qualcosa che non sarà creduto, per incapacità degli adulti di riconoscere segnali importanti, o a volte per semplice noncuranza. E il tempo passa lasciando segni indelebili su questi bambini.

Bambini trascurati, maltrattati, odiati, non amati…

La gente non dovrebbe mai tacere quando sono in pericolo la salute e la vita di un bambino, sia fisiche che psichiche.

di Maria De Laurentiis

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