Donne, Chiesa, mondo

Nella chiesa cattolica la presenza della donna, del suo non-ruolo sinodale e della sua stessa dignità di appartenenza, è un tema che sta assumendo dimensioni importanti, come dimostrano gli interventi su “L’Osservatore Romano” nella rubrica “Donne, Chiesa, mondo” (supplemento mensile).

Ma le cose non sempre vanno avanti tranquillamente. Sui risultati, come del resto già più volte commentato per la riforma della Curia, si riscontrano ritardi.

Per la Commissione per il diaconato femminile permanente, istituita lo scorso maggio da papa Francesco, essi dipendono sicuramente dal fatto che nella chiesa cattolica il diaconato è il primo grado dell’ordine sacro sacerdotale ed è quindi considerato pericoloso da molti, all’interno di una società totalmente “al maschile”, l’inserimento di donne, sia pure in un grado iniziale considerato di servizio.

Alla commissione, paritetica con sei donne ed altrettanti uomini, è stato assegnato il compito di chiarire sia i motivi per cui sono scomparse le diaconesse, presenti nel Cristianesimo delle origini, sia i compiti ad esse affidati, sia infine di verificare se ci sia oggi la necessità di un diaconato femminile permanente.

Le risposte sembrerebbero ovvie, ma nel mondo cattolico niente è mai ovvio.

Quanto alla necessità, basta guardare ad una realtà ormai presente in ogni parte della terra, stante la forte carenza di vocazioni sacerdotali.

Quanto poi ai compiti e alla presenza storica, come il card. Gracias ha recentemente commentato, alle origini non c’erano gerarchie di genere, ma un impegno costante, insieme, verso i più poveri, gli ultimi, gli esclusi. E la riduzione dei compiti a funzioni di mero servizio è stata una uniformazione al ruolo che nella società civile, col passare dei tempi, era assegnato alle donne. Quindi, guardando la società di oggi, certi cambiamenti, rispetto al passato, dovrebbero essere scontati.

Ma nella chiesa cattolica, non sempre è così. Molte volte la tradizione assume una valenza insormontabile. Come la affermazione, dichiarata definitiva: “Dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale” (Giovanni Paolo II°). Ad essa ha fatto riferimento papa Francesco (quella “è l’ultima parola chiara, e quella rimane”), alla richiesta di una giornalista, nella conferenza stampa svoltasi in aereo al ritorno del viaggio in Svezia.

Un viaggio, quello dello scorso novembre, molto contestato dai cattolici tradizionalisti. In esso il pontefice aveva commemorato, “insieme”alla chiesa luterana mondiale, il quinto centenario della riforma protestante. Con intento di unità, di avvicinamento ecumenico, nello spirito di un documento dal titolo evidente: “From conflict to Communion”.

Sì, “insieme”. Con la signora Antje Jackelén, capo della chiesa luterana di Svezia, alla quale il papa si è rivolto chiamandola Arcivescovo.

Ma nonostante l’importanza (all’interno del mondo dei credenti) di questi passi di riconciliazione religiosa, dopo separazioni cruente che per secoli sconvolsero l’Europa, che nel Nuovo Mondo segnarono un solco tra il nord dei padri pellegrini e il sud dei gesuiti, ci sono aspetti che vanno aldilà, che investono la vita di tutti i giorni, la stessa visione politica della società umana.

Uno di questi è il ruolo di primo piano, anzi dominante, delle donne (“Le donne erediteranno la terra”, ha scritto Aldo Marzullo). che tuttora viene negato. Troppo spesso, e in ogni parte del mondo.

Ne è una lucida protagonista Lucetta Scaraffia, con un impegno costante, intenso, indipendente. In più campi..

Nella chiesa cattolica, dove continua a battersi con i suoi articoli su “L’Osservatore Romano” (ma li accettavano, prima di papa Francesco?) e recentemente con il libro “Dall’ultimo banco”. Sono pagine che esprimono l’amarezza e la rabbia per la assoluta marginalità della presenza femminile nel sinodo sulla famiglia e rivendica per le donne un ruolo vero. Non continue parole senza seguito. E questo anche prescindendo, sottolineando la specificità, da rivendicazioni su funzioni sacerdotali.

Ma anche sulla società di oggi, sulle relazioni internazionali. Sui ponti lanciati verso le sorelle islamiche.

Nella ricerca di sintesi necessarie per un mondo di pace, di sorellanza..

Nell’ indicare i limiti presenti nel nostro modello culturale: ”Alle donne islamiche non offriamo solamente un paradiso di libertà e di diritti, ma anche un sottile ma persistente disprezzo per la specificità femminile, una penalizzazione di tutto ciò che non si omologa al maschile, divenuto il modello dominante. Siamo proprio convinti, così, di vincere la battaglia sul piano culturale?”

E’ necessario un diverso itinerario. Tracciato dalle donne, insieme.. Nella chiesa, nel mondo. Per tutti, donne ed uomini di buona volontà.

Se non ora, quando?

di Carlo Faloci

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