Favola pastorale mafiosa

In ogni fabula, c’è un lupus e nei villaggi delle storie c’è sempre un pazzo, un padrone e un valoroso in grado di ribellarsi ai soprusi. Ma questa non è una favola, il lupo è un’organizzazione criminale tra le più potenti al mondo e non è di certo il bene a vincere.

Alle pendici dell’Etna, dove all’orizzonte l’aria trema in un caldo africano, si stende una campagna dal silenzio assordante: qui, in provincia di Catania, sorge Randazzo. Ad abitare questo piccolo paese c’è una quieta, quanto omertosa, comunità, che vive da anni sotto l’assedio di una potente famiglia mafiosa del luogo, i Sangani.
Un giorno poi qualcuno ebbe il coraggio di dire “Basta”.

Antonino, Pietro Vincenzo e Salvatore Spartà, non furono uccisi perché dissero “No” al pizzo, neanche perché si ribellarono al furto della loro auto e Pietro Vincenzo venne alle mani con Oliviero Sangani, e neppure perché denunciarono, attraverso una chiamata anonima al 112, le angherie del clan. Questo padre e i suoi due figli maschi furono brutalmente ammazzati perché ebbero il coraggio di levare la testa, di urlare, e non di bisbigliare, con quanto fiato in corpo, il loro no alla mafia.
Ovviamente il messaggio della loro strage fu tanto chiaro, quanto la voglia di ribellarsi della stesse vittime: in paese c’era chi giurava di aver sentito dire che “chi non paga il pizzo, finisce come gli Spartà”.

A scoprire i corpi, dilaniati da pallettoni, la notte del 22 gennaio 1993 furono la signora Spartà, sua figlia Rita e un amico della ragazza.
Neanche la componente femminile di questa famiglia seppe chinare il capo e in breve fecero nomi e cognomi delle persone coinvolte: così, come successe in precedenza ad Antonino, si guadagnarono l’astio dell’intero paese e l’accusa di aver condannato “persone innocenti”.
Costrette in un isolamento cittadino, Rita decise di recarsi a Capo Orlando, dove incontrò per la prima volta Tano Grasso, Presidente Nazionale Fai, Associazione Antiracket e usura: a lui raccontò tutta la storia della sua vita, così duramente privata a soli 28 anni. Da quel momento Rita, figlia e sorella delle vittime, non fu più sola nel combattere la sua instancabile battaglia.

Dagli atti processuali emerge che a sparare erano almeno in 5, se non addirittura in 9 o 10: a processo sono andati in due, uno è stato assolto e l’altro condannato all’ergastolo.
Sulla scorta dei primi elementi raccolti, subito dopo gli omicidi, furono arrestate alcune persone, presto rilasciate perché secondo i giudici non c’erano sufficienti presupposti per proseguire. Tutti di nuovo fuori dalle carceri, a seminare il terrore per le strade del paese. L’inchiesta intanto giaceva in uno squallido archivio.
Fu qui che Rita Spartà decise di parlare a tutta Italia, dalle telecamere del Maurizio Costanzo Show, il 16 aprile 1997: non ebbe paura di dire che la magistratura non stava facendo abbastanza per aiutare lei e la sua famiglia. Ieri come oggi, pretende giustizia e non avrà pace finché non l’avranno anche il padre e i suoi due fratelli.
Grazie all’immancabile sostegno di Tano Grasso e la sua associazione, Rita riuscì ad ottenere la riapertura del caso nel 1999, anno in cui furono arrestati Oliviero e Salvatore Sangani.
In primo appello furono entrambi condannati all’ergastolo, ma successivamente la sentenza venne riconfermata solo per Salvatore.
Il verdetto della Cassazione fu che un solo uomo ne uccise altri tre, svolgendo contemporaneamente la funzione di palo e autista.

L’avvocato della famiglia Spartà, Franco Pizzuto, ha richiesto il processo per gli altri 5 uomini, denunciati da Rita subito dopo la strage, e mai finiti in un’aula di tribunale. Si sono così riaperte le indagini, alla luce delle analisi del DNA di elementi della scena del crimine, prima inesplorati.

Tano Grasso ha definito Rita Spartà “una moderna Antigone”: nel passaggio dai drammi tebani a quelli siciliani, c’è però una sostanziale differenza. Se Antigone vendicò la “sola” morte del fratello Policine, Rita piange anche un padre e un altro fratello, di solo 20 anni.
Quante volte e in quanti, hanno ucciso la famiglia Spartà?
E pensare che Antonino, Pietro Vincenzo e Salvatore ci credevano nella giustizia, tanto da dire NO alla mafia.

di Irene Tirnero

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