Fleur Sauvage

Su tutti i giornali del mondo, sempre la stessa immagine: Jacqueline, sguardo torvo, guarda in basso, di lato, quasi la sottomissione fosse diventata parte di lei. Capelli tinti a coprire il grigio, che trapela comunque più sotto, indossa una camicia a fiori, rigorosamente coperta da un maglione nero: sembra la metafora della sua vita.

Poggia, fisicamente e mentalmente, sulla mano di un’altra donna, che ha sicuramente messo al mondo lei stessa: sono divise da un vetro, ma unite in un comune intento.

Nel 2012, la donna nella foto, ha ucciso il marito, sparandogli tre colpi con un fucile.

Si tratta di Jacqueline Sauvage, la vittima mista a carnefice, il cui processo è divenuto celebre in tutto il mondo e la sua storia un esempio della lotta contro la violenza sulle donne. Nonostante si sia resa autrice di un omicidio, le è stata concessa la grazia da parte del Presidente francese Hollande, in quella che lui stesso ha definito “una situazione umana eccezionale”.

Come si può subire per tanti anni e non intervenire a difendere i propri figli da un inferno simile?

Perché Jacqueline ha sempre vissuto in questo calvario, ben prima di conoscere Norbert Marot. Sua madre, a sua volta, era vittima di violenze domestiche, mai denunciate. Così quando Jacqueline conosce Norbert, si sposano, hanno quattro figli, e lui la picchia ogni santo giorno, per lei è normalità.

La violenza si abbatte su di lei con una cadenza abbastanza precisa, circa tre volte a settimana: tre Jacqueline, una il piccolo Pascal, una Sylvie, una Carole e un’altra Fabienne. E così si concludeva la settimana del signor Marot, e di nuovo altro giro, altra corsa.

Finché una sera Jacqueline è stanca di subire violenza da 69 anni: si imbottisce di sonniferi, nella speranza di trovare della pace e del riposo, ma niente, lui torna e la picchia per l’ennesima volta, perché ha fame e pretende un piatto di minestra. E’ in questo momento che forse Jacqueline realizza e anziché recarsi in cucina, impugna un fucile da caccia e spara, spara, spara.

La famiglia Marot risiedeva a la Selle-sur-le-Bied, ad un’ora da Parigi: lavoravano tutti insieme nell’azienda di famiglia, nel settore dei trasporti. Forse questa sorta di stabilità lavorativa che Norbert aveva concesso loro, nella sua mente, gli permetteva di giocare con sua moglie e i suoi figli, quasi fossero burattini. Quella sera morirono due componenti di una famiglia già distrutta da tempo: il solo figlio maschio, Pascal, si impiccò dopo l’ennesima, furiosa, lite con il padre.

Il 3 dicembre 2015, la Corte d’appello condanna Jacqueline Sauvage a 10 anni di reclusione. Da subito, si mobilita una campagna a sua favore, contro quella che sembra contemporaneamente, paradossalmente e ragionevolmente, un’ingiustizia a tutti gli effetti: a suo sostegno si schierano Anne Hidalgo, la sindaca di Parigi, il partito di Nicolas Sarkozy, una petizione da 400 mila firme, e le sue figlie. Queste ultime scriveranno una lettera ad Hollande, in cui descriveranno il padre come “un uomo violento, dispotico, perverso e incestuoso”: solo in sede di processo infatti, due delle tre figlie hanno ammesso, per la prima volta, di aver subito violenze sessuali da parte del padre.

In virtù dell’articolo 17 della Costituzione francese, Hollande chiede la grazia Jacqueline.

Da un punto di vista giuridico, il caso della Sauvage non si presentava di semplice risoluzione: c’è una linea sottile tra il reagire nell’immediato alla violenza altrui e condensare una vendetta di 47 anni di matrimonio, in pochi minuti, purtroppo successivi all’aggressione. Per la giurisdizione francese, in caso di legittima difesa, deve esserci la proporzione di offesa e reazione, ma anche una concomitanza temporale. La mobilitazione pubblica pro Sauvage, era volta ad ottenere anche una modifica della legislazione in merito all’autodifesa: si richiedeva l’integrazione della “legittima difesa differita”, che regolamenta tutti quei casi in cui il pericolo è costante.

Dapprima Hollande avanzò una richiesta di grazia parziale, che relega il condannato in una condizione di libertà vigilata: così facendo, Jacqueline ha avuto modo sia di uscire di carcere nella primavera del 2016, ma anche di avanzare una proposta di liberazione definitiva. La sua richiesta è stata respinta dai giudici, ma al solo scopo di spingere Hollande al livello successivo, la grazia totale, giunta in seguito.

Durante il processo, si ricercava una proporzione tra offesa e reazione: 3 colpi per chiudere 47 anni di violenza e umiliazione, e il suicidio di un figlio, rappresentano un giusto compromesso?

di Irene Tinero

Print Friendly, PDF & Email