Giovanni Zangara, il contadino che sapeva dire di no

Scorrendo la cronaca italiana, l’immagine che ne viene fuori è quella di un paese che sembra non cambiare mai.
Anche a cercarla, è difficile trovare un po’ di speranza mentre vediamo regnare sempre le stesse prassi, corrotte e marce, che ciclicamente ritornano.
Non possiamo cedere, però, a questa tesi, e non perché non abbia i suoi argomenti. Ma perché ci scoraggia. Cioè, letteralmente, ci toglie il coraggio, la conditio sine qua non se vogliamo cambiare le cose.
Per questo è importante raccontare anche dei tanti italiani che lottano e hanno lottato per ciò che è giusto, anteponendo i loro valori anche a loro stessi.
Uno di questi era Giovanni Zangara, morto ammazzato esattamente il 29 gennaio di 98 anni fa. La sua storia viene dalla Sicilia, guarda caso luogo simbolo della mentalità gattopardesca che sembra stampata nella cultura italiana. La Sicilia nei primi anni del Novecento, come tutto il Meridione, era una terra che ancora mostrava i segni del latifondismo. In brevissimo si era passati dall’entusiasmo per l’annessione al Regno d’Italia all’ostilità per tutto ciò che veniva dal nord.
Giovanni Zangara, nato a Corleone nel 1877, di professione faceva il “cordaro”, intrecciava le corde. Si avvicina alla politica e milita nel partito socialista. Per chi i soprusi li viveva come fosse la normalità, il socialismo non appariva come una semplice idea, ma come il paradiso in terra. In Sicilia, a differenza che nel Nord e nel Centro Italia, le lotte contadine erano proteste solitarie e sporadiche. Si traducevano più che altro nell’occupazione delle terre e nella distruzione di proprietà private. L’unico tentativo di protesta organizzata fu quello dei «fasci siciliani», puntualmente repressi dal governo del Regno.
Nel 1911, però, era stato introdotto il suffragio universale maschile. Per la prima volta potevano votare anche gli analfabeti. Questo permise, nel 1914, l’elezione del primo sindaco socialista di Corleone, il sindacalista Bernardino Verro. Anche Zangara fu eletto e divenne assessore.
Solo un anno dopo Verro fu assassinato e sostituito da un falegname socialista, Carmelo Lo Cascio. Nel frattempo era scoppiata la Prima guerra mondiale. Finita la guerra, l’Italia era stremata e ancor di più la Sicilia. Scarseggiava il frumento e il petrolio che venivano razionati dallo Stato. Proprio Zangara era incaricato della distribuzione del petrolio.
Il 29 gennaio del 1919, all’imbrunire, venne ucciso da numerosi colpi di pistola. Tre uomini lo aspettavano appostati in via Marsala. Morirà un paio d’ore dopo in ospedale. Il motivo era stato il rifiuto di Zangara di dare del combustibile appartenente alle affittanze pubbliche, e quindi destinato ai poveri, al capomafia Michelangelo Gennaro. In realtà, si trattava di un pretesto. La mafia voleva mettere un freno alle lotte contadine e una giunta socialista era inaccettabile.
Quella di Giovanni Zangara è una storia piccola di un uomo normale. Non nel senso di conforme alla norma, ma anzi di una normalità straordinaria e in controtendenza.
Proprio per questo deve rimanere come lezione da contrapporre all’anormalità a cui siamo abituati.
di Pierfrancesco Zinilli

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