Mangiano zolle, sputano palloni

Sopra l’asfalto ancora polverose guerre di cemento, rugginosi scontri di taxi-carcasse, viscide battaglie intestinali di segreterie post-politiche, feudali diktat economici continentali. Dal sottosuolo si abbraccia tutto il panorama di macerie sovrastante, come in un solo sguardo terrificato dell’Angelo della Storia.

Tutto questo quando fra poco indosseremo zainetti-droni cui via web invieremo indirizzo, nome di un bar, di un ristorante, foto di un luogo a noi sconosciuto ed esso ci porterà a destinazione nel punto e nell’ora esatta, magari quando il cameriere sta poggiando sul tavolo da noi prenotato il nostro piatto di carbonara, caldo e con il guanciale croccante. D’altronde quando una città, uno Stato si inginocchiano alle preistoriche pretese di una corporazione, di una tifoseria, di una classe imprenditoriale betoniera o “vomitiera” di calcestruzzo e desolazione, vuol dire che la certificazione di decesso della politica, della democrazia è ormai completa e riguarda ogni sua espressione antica, recente o prossima ventura. Alle segreterie politiche basterà sostituire una piattaforma, una app, un algoritmo, senza più leggi, case e caseggiati di muro e di coccio intorno. Proprio come quelle di Huber o Flixbus, non potendo più aspirare la politica altro che a questo: farsi ancora accettare solo come residuale app del web. Essa segue, insegue, infatti, ma non è più in grado di perseguire anticipatamente, legittimamente, visionariamente e realisticamente un bel niente. Insegue voti, categorie, clientelismi, egoismi, irrazionalismi, razzismi, banditismi, sofismi, dato che i grandi, epocali “ismi” novecenteschi – socialismo, comunismo, nazionalismo, fascismo, liberalismo, confessionalismo, laicismo, europeismo – sono già sulla linea declinante della luce serale all’orizzonte.

Sì, l’economia, anzi, la tecno-finanza globale e digitale, ancora impera, ma per quanto ancora e per cosa poi? Per una più vertiginosa distruzione del pianeta. Prendiamo proprio la questione del cemento, quale sì grande leva economica ma anche inesorabile cassa da morto geologica. E guardiamo proprio alla trave di cemento armato conficcata nel nostro occhio nazionale. Guardiamola, però, dal sottosuolo, perché solo da questa prospettiva possiamo dare voce a chi – nel suo attuale martirio – non può parlare, gemere, urlare, anzi è il simbolo stesso del silenzio più profondo: il suolo.

Non sono mai troppo pochi quelli cui sfugge che la pedosfera – ossia la sfera del suolo – svolge una funzione biologica, vitale imprescindibile, altrettanto importante quanto quella dell’atmosfera. Distruggere, consumare il suolo equivale a distruggere l’aria che fa respirare noi e l’intero pianeta. Aria, atmosfera che in realtà stiamo distruggendo, bruciando, inquinando, solo che almeno ce ne rendiamo conto. Del consumo-distruzione del suolo – invece – no, lo ignoriamo. L’ignoranza ci divora allo stesso ritmo che noi ingurgitiamo fertile suolo terrestre.

In Italia vengono divorati circa 5 metri quadrati al secondo di suolo. Sono 35 ettari, circa 35 campi di calcio al giorno. 130 km quadrati all’anno. Dal 2000 al 2008 la media è stata di 8 mq al secondo, mentre negli ultimi trent’anni sono stati ingoiati 5 milioni di ettari di terreno agricolo e l’equivalente dei campi di calcio spariti ogni giorno sale a 80. Ce lo dice il rapporto ISPRA 2016. ISPRA sta per “Istituto Superiore per la Protezione Ambientale”. Ogni suo Rapporto annuale è un grido d’allarme che, però, nessuno ascolta. A tutt’oggi il decreto legge contro il consumo di suolo – dopo essere stata approvato alla Camera solo nel maggio 2016, ossia con quattro anni di ritardo dalla sua prima presentazione – è ancora fermo al Senato. Decreto Legge bombardato da deroghe ed emendamenti che lo hanno di fatto raso al suolo e svuotato di reale efficacia. L’Anci, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, è stata tra le prime a opporsi. I comuni incassano fior di moneta corrente dagli introiti fiscali, dalle tasse di concessione per le nuove costruzioni. Considerata la carenza di altre risorse, i Comuni non vogliono rinunciare a questo robusto cespite, anche se esso significa distruzione ambientale, vegetale, zoologica e antropologica.

Dice il Rapporto Ispra: “I costi della cementificazione, non sempre immediatamente percepiti, prevedono una spesa media che può arrivare anche a 55mila euro all’anno per ogni ettaro di terreno consumato e cambiano a seconda del servizio eco-sistemico che il suolo non può più fornire per via della trasformazione subita. Si va quindi dalla produzione agricola (oltre 400 milioni) allo stoccaggio di carbonio (circa 150 milioni), dalla protezione dell’erosione (oltre 120 milioni) ai danni provocati dalla mancata infiltrazione dell’acqua (quasi 100 milioni) e dall’assenza di insetti impollinatori (quasi 3 milioni). Poiché ad un aumento di 20 ettari per km quadrato di suolo consumato corrisponde un aumento di 0.6 gradi della temperatura superficiale, è stato stimato che, solo per la regolazione del microclima urbano, il costo si aggira intorno ai 10 milioni l’anno. Tra le città, la maglia nera dei costi spetta a Milano con 45 milioni, seguita da Roma (39) e Venezia (27)”.

L’ammontare delle perdite per consumo di suolo tocca dunque gli 800 milioni di euro l’anno. L’Italia passa da una distruzione di suolo pro capite di 167 mq nel 1950 ai circa 350 di oggi. Questo è il reale sottosuolo di tutti i discorsi politici e gli atti urbanistici, architettonici, edilizi di quella elevata civiltà sospesa tra il cielo e l’asfalto che noi abitiamo e devastiamo. Oggi il Comune di Roma ha concesso un altro mezzo milione di colata di cemento nell’area di Tor di Valle per la costruzione dello stadio della Roma Calcio e altri insediamenti commerciali. Poi seguirà anche quello della Lazio. Che un deputato del M5S, Massimo De Rosa, sbraiti in Parlamento contro gli stravolgimenti del DDL sul consumo di suolo e poi una sindaca di punta dello stesso movimento si pieghi al diktat cementizio e pallonaro capitolino – costringendo un suo prestigioso urbanista alle dimissioni da assessore – è solo un’ulteriore testimonianza dell’economia quale scienza non solo triste ma lugubre e della politica sua serva postribolare.

Quale politica, quale economia, di cosa ci parlano, quale midollo osseo e humus fertile vogliono spremere ancora a noi e al pianeta? Non ci sono più speranze da coltivare su un suolo brutalizzato, illusioni con cui bamboleggiarsi dentro uno sguardo umano ormai lastrificato. Resta solo questa radiosa disperazione del sottosuolo nel quale maledettamente, celestialmente il destino mi ha precipitato e nel quale sempre vi aspetto. La vera partita e il vero pasto, infatti, si svolgono ormai sotto le zolle nude.

di Riccardo Tavani

 

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