Aldo Moro: vittima di Stato? Si tentò davvero di salvarlo?

Sembrerebbe essere stata smentita la versione su cui si fonda l’omicidio di Aldo Moro, presidente del consiglio nazionale della Dc.
Parliamo di uno dei cold case più importanti del ‘900 italiano e a sconfessare le Brigate Rosse è il Reparto Investigazioni Scientifiche, su interpellazione della Commissione d’inchiesta.

Il comandante del RIS, Luigi Ripani, ha presentato la perizia in commissione parlamentare: per lui hanno puntato dritto in faccia, mentre Moro era in piedi davanti ai killer. Il brigatista Mario Moretti ha sempre sostenuto di aver fatto sdraiare il presidente nel portabagagli, con l’inganno di un possibile rilascio, e avvolto in una coperta, è stato ucciso con 10 colpi. La coperta tuttavia risulta danneggiata in un solo punto.

Per i carabinieri del Ris ad uccidere Moro, nel garage in via Camillo Montalcini 8, è stata una sequenza di 3 spari, diverse armi e un totale di 12 colpi. Moro è stato colpito al torace mentre era seduto, sopra la coperta, sul pianale della Renault R4.

Il sequestro del politico durò 55 giorni, dal rapimento, avvenuto la mattina del 16 marzo, all’ uccisione, il 9 maggio 1978.
La mattina in cui si sarebbe dovuta discutere la fiducia al quarto governo Andreotti, in Via Fani, nel quartiere Esquilino aRoma, 19 brigatisti uccidono 5 agenti della scorta e rapiscono “l’uomo del compromesso storico”.

Il primo comunicato delle br arriva il 18 marzo, in una telefonata alla redazione romana del Messaggero: in un sottopassaggio di largo Argentina, sopra un gabiotto per fototessere, viene abbandonata una busta arancione con 5 copie dell’avviso e la nota polaroid che ritrae Moro sotto la bandiera delle br. Il 15 aprile, nel sesto comunicato annunciato alla sede milanese de La Repubblica, con tanto di lettera depositata in un cestino in via dell’Annunciata, il politico viene condannato a morte. Nell’annuncio successivo le br intendono patteggiare: il rilascio di Moro in cambio di 12 brigatisti detenuti. Allegata all’avviso la nota polaroid di Moro con in mano la Repubblica, come risposta al titolo “Moro assassinato?”.

Il mondo politico si divide tra la linea della “fermezza”, perseguita dallo stesso partito di Moro e il Pci, e la “trattativa”, dei radicali di Pannella e dei socialisti di Craxi. Mentre le parti temporeggiano viene diffuso il nono ed ultimo comunicato, del 5 maggio, in cui si ufficializza la condanna di Aldo Moro.

Come la storia racconta il corpo fu ritrovato nel portabagagli della Renault R4, simbolicamente situato in via Caetani, a metà tra Piazza del Gesù, cuore della sede nazionale Dc, e via delle botteghe oscure, dove si trovava il comitato centrale del Pci.

In quegli anni Moro stava lavorando al compromesso storico: la proposta di avvicinare Partito Comunista Italiano e Democrazia Cristiana fu avanzata da Enrico Berlinguer e presto accolta da Aldo Moro. Si voleva evitare una svolta autoritaria della Dc, alla luce del colpo di stato che aveva destituito il governo di Salvador Allende in Cile nel 1973 e nel tentativo di rendere il comunismo italiano più indipendente dall’Unione Sovietica. I primi a boicottare l’intero progetto furono le frange più estreme del Pci.

Per salvare Aldo Moro si mobilitarono 172.000 unità, organizzarono 6.000 posti di blocco ed eseguirono 7.000 perquisizioni, controllarono 167.000 persone e 96.000 autovetture. Lo stesso Moro scrisse ben 38 lettere, ai familiari e alla dirigenza della Dc, ai colleghi Andreotti, all’ora primo ministro Cossiga, a Craxi, Zaccagnini: in pratica gli stessi che sedettero in prima fila al suo funerale. Eppure a distanza di 39 anni c’è ancora chi sostiene che non fu fatto assolutamente tutto il possibile.

di Irene Tirnero

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