Contro tutte le tossicodipendenze

Alice era una di quelle ragazzine che sembrano tutto pepe, estroverse. Il suo sorriso faceva simpatia fin dal primo sguardo. Partecipava alle attività della parrocchia con molto entusiasmo ed era stimata e benvoluta da tutti. A un certo punto, però, cominciò a frequentare nuovi amici, ragazzi nuovi. Quando tornava a casa, ora, andava direttamente nella sua stanza, ci si chiudeva dentro e si metteva ad ascoltare musica rock.

I suoi genitori ignoravano che quando Alice aveva tredici anni alcuni compagni di scuola l’avevano convinta a provare la marijuana, che a quindici anni prendeva droghe di vario tipo assieme a birra e liquori, e a diciassette era già avviata a diventare quella che in gergo viene definita una “onnivora” in fatto di stupefacenti.

Ben presto cominciò a spacciare a scuola, sull’autobus, dovunque, per procurarsi i soldi con cui comprare la droga. Frequentava pochissimo le lezioni, e quando lo faceva era soltanto per addormentarsi in classe, non si concentrava più. La sua applicazione verso lo studio diminuì, cominciò a marinare le lezioni. In precedenza andava bene a scuola, aveva un buon rendimento. Il suo profitto ne risentì in maniera disastrosa, diventò scarso, ma a lei interessava soltanto lo stato di euforia indotto dagli stupefacenti.

Era avvenuto un cambiamento radicale, anche il suo atteggiamento in famiglia era cambiato: era scostante, rispondeva sempre e aveva diversi scontri verbali molto accesi con i suoi, era davvero difficile gestirla. Non era la ribellione di una ragazza che stava crescendo, e capita che nell’adolescenza avviene una presa di distanza dalla famiglia. Non era una ribellione che rientra nella norma, ma c’era dell’altro. Ormai anche i suoi genitori si erano accorti che qualcosa non andava.

Man mano che la dipendenza cominciava a far parte della sua vita, Alice iniziava ad avere sbalzi di umore, cominciava ad avere lo sguardo perso, qualsiasi cosa succedesse o le venisse chiesta non era importante per lei e cominciava ad avere un atteggiamento di antagonismo nei confronti delle persone a lei care. Alternava stati di profonda depressione a crisi di furore, e in casa non sapevano più come regolarsi con lei. Nel corso di una discussione particolarmente animata la ragazza urlò: “Me ne vado. La prossima volta che mi vedrete sarò morta o sposata!”

Doveva difendersi per non farsi scoprire perché nonostante sapesse che ciò che stava facendo era sbagliato, non voleva che si venisse a sapere. L’unica maniera per far sì che nessuno sapesse quello che stava accadendo nella sua esistenza era chiudersi in se stessa.

Cominciò quindi ad abbandonare gli amici di sempre, anche quelli della parrocchia che frequentava; in pratica aveva tagliato i legami con tutti i suoi amici che non si drogavano, perciò non aveva amici ormai, ma compagni di droga. Provava sempre meno interesse nelle cose che aveva sempre fatto, e, pian piano, era sempre meno presente nell’ambito familiare; le scuse potevano essere tantissime: “Sono stanca”, “Dite sempre le solite cose che non mi interessano”, “Sto attraversando un periodo in cui ho bisogno di stare sola”, “Ho litigato con il mio ragazzo”.

Ogni giornata girava intorno a una cosa: il suo piano per avere i soldi che le servivano per la droga. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per avere la sua dose. “Era l’unica cosa nella sua vita”.

Quando era ubriaca sentiva che era più euforica. Poco dopo aver iniziato a bere cominciò ad assumere marijuana. Qualche volta inspirava cocaina dalle bustine. Sniffare cocaina era diventata una routine. Rubava denaro alla sua famiglia a volte e ai suoi nonni per sostenere le spese di alcol, cocaina, marijuana, LSD. In seguito ebbe bisogno di qualcosa di più forte e passò all’eroina. Non si sarebbe fermata davanti a niente pur di ottenere la sua dose. La sua tossicodipendenza stava vincendo. Ogni volta che provava a liberarsene, il suo corpo ne richiedeva di più.

Alice cominciò ad andare da uno psichiatra, spinta dalla madre, tornò a frequentare la scuola con regolarità e a prendere buoni voti. Ma una sera non rientrò e non diede più sue notizie. Quando finalmente si rifece viva aveva l’aria sconvolta e si mise a gridare: “Basta con la droga!” “Devo uscire da questa trappola, non ne posso più!”. Nel frattempo i suoi genitori avevano saputo dell’esistenza di un centro per la riabilitazione dei tossicodipendenti. Lì forse potevano fare qualcosa per Alice.

La droga che insidia i giovanissimi è una belva astuta e imprevedibile, magari in agguato appena fuori della porta di casa. Il dramma che coinvolge una famiglia quando un membro è tossicodipendente non è facile da affrontare. La paura e la rabbia di un genitore si scontrano con la psicologia alterata di un figlio che ha lasciato il controllo della propria vita alle sostanze stupefacenti, un figlio che deperisce fisicamente e psicologicamente vede alterata la propria personalità dalle droghe, in un circolo vizioso che porta all’alienazione totale e alla morte.

Sempre più spesso si sente di ragazzi poco più che bambini, che perdono la vita, solo perché hanno voluto sballarsi, sentirsi più grandi, più sicuri e questo mi rattrista enormemente. Si sente parlare di gente che sotto effetto di alcol e sostanze, si mette alla guida della propria auto, seminando morte e sofferenza per chi rimane.

Come si fa a giocare con la propria vita in questa maniera? Come si fa a prendere LSD per vedere meglio i colori, senza accorgersi che sono già stupendi al naturale? Come si fa a sniffare per sentirsi sicuri, onnipotenti? Come si riesce a sopportare l’idea che una siringa sia il primo pensiero al mattino quando si aprono gli occhi?

La vicenda di Alice è in certo qual modo tipica di coloro che riescono a sottrarsi alla schiavitù della droga. Risalire la china non fu facile, anzi la ragazza ebbe parecchie ricadute. Lei, che ad appena diciassette anni le aveva già provate tutte, dalla marijuana all’eroina, con l’aiuto di un gruppo di coetanei del centro, riuscì a venirne fuori. Non tutti, naturalmente, ce la fanno.

Per quanto siano ormai trascorsi diversi anni da quando si è liberata della droga, l’angoscia di quel periodo le è rimasta impressa indelebilmente nella memoria.

La sua personale esperienza in fatto di riabilitazione dei tossicodipendenti dà fiducia nella possibilità di educare a dire no alla droga, anzi a tutte le droghe.

di Maria De Laurentiis

Print Friendly, PDF & Email