Il desiderio di una vita normale sotto protezione dello Stato. E la lettera di Gennaro Ciliberto.

La vita di ognuno di noi può essere attraversata da qualche episodio che ne determina la radicale trasformazione. Un commerciante taglieggiato può decidere di ribellarsi e può non volere più pagare il pizzo; un impiegato può scoprire che la ditta nella quale presta la propria opera appartiene o è gestita da una delle mafie nostrane; un uomo, parte integrante di una di queste mafie può, per salvaguardare sé stesso o i propri cari, decidere di collaborare con la giustizia.
Stiamo parlando di un vero e proprio cambio di pelle di uomini e donne che lasciano la vita antecedente per diventare Testimoni o Collaboratori di Giustizia. I primi non hanno mai avuto alcuna contiguità con associazioni mafiose, mentre i secondi, facendone prima parte, spesso per nascita, hanno deciso di distaccarsene denunciandone l’attività e collaborando con lo Stato.
La gente pensa che, a questo punto, questi soggetti, che sicuramente rischiano la propria vita oltre che tutto quanto possiedono, ricevano in automatico una forma di protezione da parte dello Stato, che li assisterà in ogni loro bisogno fisico e mentale, dando loro un’identità protetta e nuova.

Nulla è però così semplice. Un primo importante motivo è che occorre valutare se quanto affermato dal testimone o dal collaboratore sia vero. E’ necessario poi controllare, in particolare nel caso del collaboratore, se quanto da lui riferito presenti elementi di novità e utilità per le indagini o se si tratta di notizie già note e apprese, da qualche fonte, dal collaboratore. Niente è semplice in queste intricatissime verifiche, considerando che, oggi, sono anche fuori controllo, a causa del web, migliaia di informazioni on line.

In difficoltà è sicuramente il magistrato nella sua valutazione, che deve essere attenta e accurata ma in difficoltà è anche il collaboratore o il testimone di giustizia. Entrambe le figure, infatti, soprattutto se le loro dichiarazioni sono di rilievo, sono ad altissimo rischio per la loro vita. Salta ogni meccanismo di precedente serenità. Inizia la fuga, la diffidenza, il nascondersi, mentre si attende di essere ammessi nel programma di protezione. L’ammissione nel programma, una volta avvenuta, non concede in ogni caso molto spazio ad una vita ordinaria. Si è soggetti, per ragioni di sicurezza, ad autorizzazione per ogni cosa che comporti uno spostamento, la presenza in luoghi pubblici. E non si può derogare ad alcuna regola, il rischio è di rimanere soli, senza programma di protezione, in un mondo decisamente ostile.

Chiudiamo con le parole di un testimone di giustizia, che dal 2010 ha visto profondamente cambiare la sua vita. E’ Gennaro Ciliberto.

“In 7 anni ho lottato contro il sistema, credevo di riuscire a resistere, di poter iniziare una nuova vita, ma oggi mi rendo conto che nessuno può resistere, nessuno. Mi sento morto dentro umiliato, ho cercato sempre un confronto civile e rispettoso, ho sempre atteso i tempi della burocrazia, ad ogni chiamata della giustizia ho risposto, ho messo in prima linea i miei doveri di cittadino e di testimone.
Ho cercato di capire le strutture della macchina protezione, le loro contorte deduzioni.
Ho cercato di stare sempre calmo perché chi è al potere mi ha sempre detto che non bisogna farsi la guerra ma cercare un punto di incontro.
Ma oggi non trovo più una risposta e mi tormento nel mio essere.
Perché il SCP deve essere così?
Basterebbe solo applicare la legge e non interpretarla ma forse chiedo troppo.
Forse noi tdg dobbiamo scomparire?
Ed allora a che serve una nuova legge, l’impegno di tante brave persone? A cosa servono i convegni se poi ci si trova ad essere isolati dal punto di vista umano. Forse qualcuno vuol farci passare per pazzi, per instabili. Ma dopo 7 anni chiunque cede, chiunque molla la presa.
Ho tanto da perdere ma la libertà è già andata insieme alla salute. Ho molti rimpianti, molti dubbi che mi portano ad uno stato di confusione. L’impotenza di un uomo di fronte a quella prassi applicativa segreta e che ogni volta viene costruita ad hoc per rendere un inferno un programma di protezione che dovrebbe garantire la serenità a chi è sotto protezione”.
Un uomo in cerca di normalità, una normalità che gli sta riuscendo difficile ottenere.

di Patrizia Vindigni

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