Gli Sbirri di Locri. Nel ricordo del delitto Fortugno

Il corteo di Locri è una marea eterogenea. Sono 25 mila, sono soprattutto giovani ma ce n’è di ogni età. Sono soprattutto calabresi, ma per la Giornata in ricordo delle vittime delle mafie sono venuti da tutta Italia.
Tutti a Locri, comune di 12.000 abitanti, provincia di Reggio Calabria, affacciato sul Mar Ionio. Territorio della famiglia dei Cordì, strappato ai rivali dei Cataldo con una guerra che dal 1993 si è protratta fino al 2005. Qui nel 2005 è stato ucciso Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio Regionale. Ma Locri non è solo questo. È l’avamposto di una rinascita sociale, un grido di liberazione verso la ‘ndrangheta. Un idea incarnata dal Locride, ostello per la gioventù aperto in un edificio confiscato alle cosche e parte di un circuito di turismo responsabile.

Eppure la vigilia di questo 21 marzo non è stata delle più semplici. Tre scritte veloci, apparse nella notte sui muri dell’arcivescovado, del centro giovanile e negli spazi elettorali: “Don Ciotti sbirro e il sindaco ancora più sbirro”, “Più lavoro e meno sbirri”. Gli autori sono stati ripresi dalle telecamere di sorveglianza e le immagini sono al vaglio degli inquirenti. Quello è chiaro sin da subito, è che dietro non ci sono i mafiosi, ma i loro tifosi: “Si tratta di gente che odia le istituzioni, che ha sposato la legge criminale della ‘ndrangheta – spiega Nicola Grattari, procuratore di Catanzaro – ignoranti stupidi, ubriachi del suo modo di pensare e di agire”.

La risposta della piazza è arrivata forte e unanime. Piene le vie di Locri così come le strade di altre 4 mila città italiane. “Oggi siamo tutti sbirri, oggi siamo tutti calabresi” dice Don Luigi Ciotti dal palco. Accanto a lui c’è Sergio Mattarella, che per mano di cosa nostra ha perso il fratello Piersanti, primo Presidente della Repubblica dopo Saragat a visitare la zona di Locri: “Date la testimonianza di come la violenza, la morte e la paura non possano piegare il desiderio di giustizia e di riscatto. Le vostre ferite sono inferte al corpo di tutta la società, di tutta l’Italia e che il ricordo dei vostri familiari, martiri della mafia, rappresenta la base su cui costruiamo, giorno dopo giorno, una società più giusta, più solidale, più integra, più pacifica”.

Il ricordo appunto, la giornata del 21 serviva soprattutto per questo. Così il silenzio della piazza è stato scandito dai 960 nomi delle vittime della mafia, letti dal Presidente del Senato Piero Grasso, insieme ai familiari delle persone scomparse. Più della metà aspetta ancora di avere giustizia.
Si riparte da qui, dalla giustizia in tutte le forme. Con uno sguardo alla politica (“Nessun arretramento sugli appalti, le intercettazioni, la prescrizione e la riforma urgente per i beni confiscati” il monito di Don Luigi Ciotti) e alla vita di tutti i giorni: “Siate orgogliosi di essere calabresi, e non voltatevi dall’altra parte. La prima mafia si annida nell’indifferenza”.

di Lamberto Rinaldi

Print Friendly, PDF & Email