Nel mondo una donna su tre è vittima di violenza

Nel quotidiano incontro, nel mondo, tra il femminile e il maschile che spendono sul pianeta la loro vita, non risulta facile immaginare che una donna su tre, nel corso della sua esistenza, sarà abusata oppure picchiata o costretta, spesso dal proprio compagno, a forme di sottomissione sessuale. E’ un numero impressionante, incomprensibile, che nasce da una cultura fatta di rabbia, mancanza di rispetto e di considerazione dell’altro, anzi, dell’altra.

Le ragioni risiedono quasi sempre in una mancata evoluzione del pensiero, che resta ancorato a retaggi per cui una donna, per chissà quale ragione, è da considerare un essere inferiore, meno dotato intellettualmente, una cosa da usare a proprio piacimento. A molte donne nel mondo non è consentito neanche accedere con facilità allo studio. Si ritiene che, per i compiti a cui sono “naturalmente” portate, non hanno necessità di conoscenza e apprendimento. Le donne non devono aspirare a posti di comando, “non sarebbero in grado”. Il ciclo le rende deboli psicologicamente, “non potrebbero prendere decisioni di rilievo”. Il ciclo le rende addirittura impure. Impure… eppure senza quell’impurità non nascerebbe un figlio, né maschio né femmina, ma questo agli occhi di alcuni, non ha rilievo. Donna, impurità e peccato, un ridicolo concetto spesso presente in molte culture.

E’ come se si tendesse a voler schiacciare le donne sotto il peso delle loro stesse caratteristiche fisiche.

A volte tutto questo diventa stalking. In Italia, raccontano i dati Istat, sono quasi tre milioni e mezzo le donne che hanno subito atti persecutori e violenti nel corso delle loro vite. Un numero impressionante, se si considera che questi sono dati che fanno riferimento a situazioni denunciate, venute alla luce. Il sommerso farebbe di molto innalzare il numero. E ci proclamiamo una società civile, anzi, siamo addirittura riconosciuti come tali.
Unico dato positivo è che, nel frattempo, sono aumentati anche i casi di uomini che, riconoscendosi come violenti, si rivolgono a centri di aiuto per uomini maltrattanti. Una presa di coscienza ancora di pochi … perché non si comprende che la persona che si ha davanti è un essere umano da rispettare, da non toccare.

Di recente una sentenza è stata ritenuta scioccante quando ha riconosciuto non colpevole un individuo accusato di violenza nei confronti di una collega “perché la donna non ha urlato” . Pare che la donna sia apparsa confusa sui particolari, nel raccontare, ma si è sottolineato l’aspetto della mancata reazione. A fronte di un’aggressione non sarebbe sufficiente dire no, occorrerebbe anche urlare. Se poi si è spaventate, si teme la reazione del violentatore, si teme per la propria vita, si è paralizzate da quanto sta accadendo … tutto questo sembrerebbe non essere preso in considerazione. Perché non valutarlo? Non tutte hanno prontezza nel difendersi, non tutte sono in grado di reazioni rabbiose o urlanti. In questo caso, senza entrare nel merito della vicenda, non conoscendo la motivazione, resta il dubbio di una mancata considerazione di un elemento culturale: “perché alcuni uomini non sono capaci di fermarsi quando una donna, fosse anche la propria compagna, dice loro di no? Il no, gridato o meno che sia, dovrebbe essere sufficiente a trasmettere un messaggio. Perché ci sono uomini che non lo comprendono? Non sarebbe il caso di rieducarli?”.

Giudici, tre donne. Sicuramente timorate di Dio. Per le quali la colpa della donna della sentenza era certamente la libertà di comportamento prima dello stupro. Per le quali anche oggi c’è stata la soggezione ad un mondo “al maschile”. Un mondo nel quale ha ancora senso il Deuteronomio, la legge mosaica di duemilacinquecento anni fa, quando la donna era solo un oggetto, come una capra, come un agnello. Da non desiderare, se di altrui proprietà
Già, la legge mosaica. Secondo la quale … “se un uomo, in città, giacerà con una vergine, saranno entrambi lapidati, l’uomo per essersi approfittato senza diritto, la fanciulla per non avere gridato. Ma se la fanciulla fu trovata dall’uomo in campagna, lui solo sarà messo a morte, perché lei gridò ma non c’era nessuno che potesse liberarla” …

Siamo nel terzo millennio. Ma siamo ben lontani da un mondo di uguali diritti, anche se nel 1948 è stata firmata, tra i documenti fondativi del’Onu, la “Dichiarazione universale dei diritti umani” in cui, secondo l’articolo 1: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” Gli esseri umani, tutti. Senza distinzione di genere, senza distinzione di nessun tipo.
Ma siamo ben lontani. Solo da noi, in Italia, ogni tre giorni c’è una donna uccisa per motivi di genere.
E dovunque c’è chi vuole costruire muri, c’è chi ripropone case di tolleranza. Dovunque, in un mondo senza amore, in un mondo indotto a pensare che sesso e amore siano la stessa cosa.

C’è solo una speranza, per il mondo del futuro.
Che l’universo femminile – tre miliardi e mezzo di persone – non accetti più la condizione di soggezione che subisce o che, anche inconsapevolmente, accetta.
Che prenda in mano le redini della società umana, con l’amore che solo una coscienza materna può esprimere.
Noi vorremmo che il “Se non ora, quando?” fosse per le donne non solo lo slogan di una dimenticata manifestazione del 2011, ma la volontà di un percorso di speranza e di consapevolezza – come per i partigiani ebrei russi e polacchi nel libro di Primo Levi – di un ruolo che deve essere assunto dalle donne.
E non contro, ma insieme, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà.

di Carlo Faloci e Patrizia Vindigni

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