Il riscatto di Casa Sankara

Lo scorso agosto l’associazione Ghetto out Casa Sankara ha trovato finalmente una felice collocazione in una masseria a San Severo (Foggia) presso l’azienda Fortore, a pochi chilometri dal “grande ghetto” di Rignano Garganico. La sede è proprietà della regione ed è stata concessa, a titolo gratuito, per 5 anni, non rinnovabili.

Senegalesi, marocchini, egiziani, camerunensi si sono uniti sotto lo stesso tetto in nome di Thomas Sankara, militare e presidente del Burkina Faso (all’ora chiamato Alto Volta), rimasto ucciso nel colpo di stato dell’ottobre 1987 per essersi opposto al pagamento del debito pubblico di epoca coloniale. Ma da cosa scappavano tutti?

Fino a poco prima risiedevano presso il campo di Rignano Garganico, nato a seguito dello sgombero di uno zuccherificio, più di 20 anni fa. L’estate ospita moltissimi migranti e diversi cittadini italiani normalmente residenti al Nord: parliamo di circa 3.000 persone che ogni stagione lavorano alla raccolta di pomodori, pagati 3,50 euro per ogni cassetta. Trascorrono questi mesi senza acqua potabile, per giunta a pagamento, investendo 40 euro, per dormire in una baracca durante tutto il periodo.

Basterebbe già questo ma non è tutto: il 15 febbraio 2016 scoppia uno tra i peggiori incendi del campo che origina in breve un’emergenza abitativa, esplosa definitivamente nel maggio dello stesso anno. Il ministro della giustizia, Andrea Orlando, definì la situazione “qualcosa di inaccettabile”. Nessuno morì ma circa 350 persone rimasero senza una casa, o meglio una baracca: tuttavia il campo fu ricostruito in tempi record, antitetici alla cultura italiana, tanto che si spospettarono infiltrazioni mafiose.

Nel 2014, ben prima dell’incendio Nichi Vendola, presidente regione Puglia tra 2005 e 2015, emise una delibera per chiudere il campo. Nell’agosto del 2015 Yvan Sagnet, coordinatore Dipartimento Immigrazione Flai-Cgil Puglia, sporse denuncia contro dei caporali per occultamento di cadavere a seguito della morte di un bracciante 30enne, caduto da una pila di 57 cassoni di pomodori. Il 2 dicembre 2016 scoppiò un altro incendio che produsse ben 500 sfollati.

La Regione ha stanziato 5 milioni di euro per chiudere il campo ma in assenza di un ulteriore finanziamento del Ministero dell’Interno non è possibile procedere. Viene quasi il dubbio che la situazione risulti un piatto succulento per il caporalato.
Nel frattempo, nel luglio 2016, è morto un altro uomo, coinvolto in una rissa. Una guerra tra poveri da cui sarebbe scappato chiunque.

di Irene Tirnero

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