#ijf2017 undicesimo festival internazionale di giornalismo

Io quest’anno all’incontro internazionale di giornalismo a Perugia ci sono andata. I due giorni che ho avuto a disposizione erano pochi, ma sufficienti per riuscire a vedere del festival la faccia che ha. Nell’azzurro di un cielo che migliora l’umore, sulla rocca di una città a vocazione verticale, elegante come solo certe piccole città italiane sanno essere, il festival rivela un profilo estremamente curato, scontatamente tecnologico, straordinariamente multietnico, incredibilmente giovane. Giunto alla sua undicesima edizione, il festival del giornalismo si è guadagnato un’autorevolezza mondiale diventando la piattaforma di condivisione di tutto ciò che è inscritto nel cerchio mediatico comunicativo, la piazza di discussione e di incontro per il mondo intero, il luogo dove il giornalismo si fa e si racconta attraverso le testimonianze di chi vuole esserci, vuole partecipare, di chi comunica con passione ed attenzione. Più di 2000 giornalisti accreditati, 170mila visite al sito internet del festival, 14 gli alberghi prenotati solo dall’organizzazione per 693 relatori provenienti da 44 paesi diversi e per i loro accompagnatori, per un totale di 2000 camere in cinque giorni; in meno di una settimana (e dopo un anno di lavoro) la ruota del festival ha macinato 287 eventi, tutti puntuali nei tempi, tutti a ingresso libero e in diretta streaming, molti in traduzione simultanea: interviste, incontri, dibattiti, serate teatrali, premiazioni, presentazioni di libri, workshop, case history, nuove realtà editoriali. Gli incontri, anche 9 in contemporanea, si sono svolti in 15 luoghi attorno a Corso Vannucci. Da Corso Vannucci ci si deve passare a ogni ora, a ogni cambio d’incontro.

A Perugia con le strade ci sanno fare.
A metà tra uno slargo e una piazza, Corso Vannucci è un nastro morbido di pietra chiara: nasce da un balcone esposto sul verde dell’Umbria e per negozi e caffè all’aperto va ad arenarsi sotto la Cattedrale. Se durante l’anno è la strada di turisti e mendicanti-suonatori, nei giorni del festival Corso Vannucci é il torrente dove scorre l’umanità giornalista festivaliera e diventa la Via dei Narratori. Centinaia di comunicatori si muovono sul corso tra un incontro e l’altro, o siedono ai tavolini dei ristoranti: tutti hanno in tasca una storia da raccontare, tutti esibiscono al collo il tesserino del festival; sono gli addetti ai lavori, gli affabulatori, quelli che raccontano il giorno e la notizia, quelli che producono immagini e maneggiano parole, quelli che provano a dire il mondo di ieri e quello di oggi mentre guardano con attenzione al mondo di domani. Porto a casa dal Festival, dopo due giorni sul palcoscenico dell’informazione, l’invito rivolto da tutti a non farsi distrarre dai riflessi della superficie, a salvare i contenuti, a concedersi il lusso di approfondire, ché i contenuti pretendono tempo, a mantenere la giusta distanza dalla notizia, a studiare per conoscere. “We can only informing the public if we first learn to listen well”: capire per informare, andare al fondo delle cose, stare in controtendenza con un mondo superficiale che tende a premiare il rumore.

Quando il festival chiude i battenti e si fa l’ora di tornare a casa, non posso lasciare Perugia senza passare dalla Galleria Nazionale dell’Umbria che ha l’ingresso proprio su Corso Vannucci. Mi basta un’ora di tempo per rivedere l’Annunciazione di Piero della Francesca. Ed è stando seduta nella penombra della sala a guardare il dipinto che capisco che in Piero della Francesca tutto torna: l’Annunciazione è una notizia. Non una notizia qualunque: l’Annunciazione è “la” notizia, il momento in cui il divino sceglie di incarnarsi per stravolgere la storia umana. Piero della Francesca la racconta “scattando” l’immagine di un attimo terso, un’immagine facile da leggere perché ottenuta con la cura e la sapienza di Piero, che è stato artigiano capace ma anche intellettuale e intellettuale raffinato: si coglie nelle espressioni dei volti l’istante esatto in cui Maria ha superato la sorpresa iniziale, ha già saputo, ha già capito e ha già accettato, la Storia ha cominciato a rotolare, il tempo è compiuto, il gioco è fatto, rien ne va plus. L’Angelo quindi non è appena arrivato dalla vergine, ma sta per ripartire, per lasciarla sola. Piero costruisce attorno alla notizia una scatola prospettica che rende più vero il luogo e di conseguenza più autorevole il racconto, chiude lo spazio terreno e contemporaneamente lo apre al mistero di Dio con una fuga di colonne di pulita geometria, tenendosi alla corretta distanza che separa colui che osserva dall’istante che accade.
Tutto quello che ho imparato all’ijf2017 in questi due giorni è qui davanti a me, nell’Annunciazione di Piero: l’approfondimento, lo studio, il sapere, la cura, il gesto esatto, il gusto della narrazione. Per raccontare ci vogliono tempo, fatica, perizia e coraggio: il cielo antico di Piero e quello giovane del festival, due celesti gemelli, esigono dai nuovi narratori il coraggio della complessità.

di Daniela Baroncini

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