#iostoconGabriele

Era un’emozione poter gridare “liberi tutti!” quando si giocava a nascondino. Si aveva la sensazione che bastasse pronunciare quella formula magica per riconquistare il mondo e scatenare la gioia degli amici, grati per lo scampato pericolo. Nascondino è un passatempo da bambini dove con un solo grido “Liberi Tutti!” le scelte dei singoli possono piegare le regole del gioco al proprio obiettivo, senza per questo snaturarle. Finito il tempo dei giochi, una volta approdati nel mondo adulto, s’impara che gridare forte “Liberi tutti!” non basta più.
A metà di aprile di quest’anno è partita una campagna di mobilitazione per chiedere l’immediata liberazione di Gabriele Del Grande, scrittore e giornalista indipendente, blogger e documentarista toscano di 35 anni, fermato il 10 aprile nella regione di Hatay da agenti turchi in borghese. La campagna di mobilitazione era racchiusa in tre parole tenute insieme da un hastag: #iostoconGabriele: un grido, una formula magica.
Gabriele Del Grande, trattenuto in isolamento in un centro di detenzione turco, tenuto forzatamente “nascosto”, è stato liberato dopo 14 giorni. Oggi è di nuovo in Italia. Il suo rilascio ha coinciso con la celebrazione del 25 aprile e per l’occasione le parole Libertà e Liberazione si sono rincorse e intrecciate come in un gioco da bambini. Eppure la storia di Gabriele Del Grande ci insegna che le parole, anche quelle più impegnative, non bastano più.
In un mondo sempre meno libero di parlare, di muoversi, di scampare alla guerra, dove quello che è legale e quello che è legittimo non sempre coincidono, le campagne di sensibilizzazione, gli hastag, i proclami, le dichiarazioni di intenti, le formule ripetute che hanno il compito di tenere alta l’attenzione su un tema, sono necessarie, ma non sono risolutorie. Il Mediterraneo è ormai una fossa comune nascosta dall’acqua e in mezzo al Mediterraneo ci siamo noi. Verremo ricordati come la generazione di persone che ha guardato morire un’intera generazione che desiderava mettersi in viaggio. La Storia non ci assolverà: dirà di noi che davanti alla morte di migliaia di migranti ci siamo molto commossi, e quindi autoassolti, che abbiamo molto pianto, molto urlato, detto molto e fatto poco. Diranno che abbiamo chiesto a gran voce all’Europa politiche di accoglienza più eque, regole più umane, ma diranno anche che nel nostro quotidiano, un giorno dopo l’altro, siamo rimasti fermi a guardare, a scrivere hastag, ad aspettare che qualcosa cambiasse, pur sapendo che difficilmente il cambiamento arriva dall’alto se non c’è una spinta dal basso che agisce.
Quella di Gabriele Del Grande è un’azione che è partita dal basso: non si è limitata alle parole, ha mosso qualcosa di più. Del grande ha cominciato a dar conto dei morti, di tutte le vittime di frontiera, di tutti quelli che alla Fortezza Europa non hanno avuto accesso, fondando nel 2006 un blog che si chiama Fortress Europe. Ha raccolto e raccontato le biografie che i bambini di domani studieranno “quando nei testi di scuola si leggerà che negli anni duemila morirono a migliaia nei mari d’Italia e a migliaia vennero arrestati e deportati dalle nostre città, mentre tutti fingevano di non vedere”
Gabriele Del Grande ha accompagnato cinque profughi attraverso le frontiere d’Europa, rischiando una denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ha attraversato insieme a loro le frontiere del vecchio continente per 3000 km, fino alla città di Stoccolma, mettendo in scena un finto corteo nuziale. Chi fermerebbe mai un corteo di matrimonio?  Dal viaggio ha portato a casa emozioni, relazioni, voci e immagini. “Io sto con la sposa” è il film-documentario che racconta questa avventura, la storia dei 5 palestinesi-siriani in fuga dalla guerra e quella dei loro speciali contrabbandieri, i loro gesti illegali e i loro sogni legali, la corsa emozionante “on the road” alla ricerca della pace. Storia fantastica eppure terribilmente vera di una disobbedienza sorridente, tra abiti di gala e situazioni rocambolesche. Perché nulla è più potente di un legame festoso per esorcizzare la morte e la sofferenza. Perché siano Liberi tutti! liberi di viaggiare, liberi di non morire, le parole da sole non bastano più e le soluzioni non sono mai individuali, devono coinvolgere tutti. Lo afferma la Sposa del film di Gabriele del Grande, vestita di bianco, seduta nel vento del mare: -C’è sempre qualcosa di collettivo che appartiene a tutti noi. O viviamo tutti bene, o è come se non vivessimo. Se dobbiamo morire, moriamo insieme. E se dobbiamo vivere, viviamo insieme.

di Daniela Baroncini

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