Il Bellaria Film Festival a Roma

Quello di Bellaria è uno dei festival cinematografici più longevi e prestigiosi d’Italia. Esiste dal 1983 ed è dedicato ai documentari. Quest’anno si è svolto dal 25 al 28 maggio, ma già dall’8 all’11 giugno si trasferisce nel cuore storico di Roma, al Cinema Farnese di Campo de Fiori. Qui possiamo vedere le opere migliori di questa e di precedenti edizioni. A ogni nuova edizione, infatti, affiora alla superficie degli schermi di Bellaria quanto il nostro Paese disponga di una grande leva di registi che sanno vedere e farci vedere dentro le pieghe più profonde, nascoste, trascurate, rimosse della realtà. Un lavoro prezioso, perché la politica e i grandi mass media sono portati a mostrarci solo la faccia più superficiale dei fenomeni e degli avvenimenti sociali e culturali. D’altronde l’Italia ha sedimentato nel tempo una grande scuola di “cinema del reale” che ne segna la storia sul piano mondiale. “Cinema del reale” è in realtà la stessa definizione originaria del cinema in quanto tale. Ai suoi albori la specificità, la novità del cinema era proprio questa sua presa diretta sulla realtà. Solo più tardi è subentrata la sua commistione con il racconto di vicende umane, più o meno immaginarie, strutturate in trame, sviluppi e altri elementi tipici del teatro e della letteratura. Della caratteristica originaria ha saputo nutrirsi il nostro cinema del passato. Lo ha mostrato a Bellaria il musicista e cantante Colapesce con un montaggio sintetico-poetico di alcune opere documentaristiche e narrative di Vittorio De Seta, innestato nella musica dal vivo suonata direttamente sulle immagini dall’artista siracusano. Un’operazione che ci restituisce tutta la forza, l’energia cinematografica, umanista, verista delle inquadrature di De Seta, soprattutto in Sicilia, nelle tonnare in mare, nelle miniere di zolfo, nelle campagne e tra le montagne. Un altro grande musicista, il funambolico genio del pianoforte Stefano Bollani, ha creato in diretta la musica per il film muto di Buster Keaton “The General” del 1926, lanciandosi poi in una vertiginosa improvvisazione-commistione su dieci motivi richiesti dal pubblico, con una cover finale anche cantata de “La Banda dell’Ortica” di Enzo Jannacci.

La levatura storica della nostra scuola documentaristica è emersa anche in altri due film realizzati montando vecchie immagini depositate negli archivi dell’Istituto Luce. Il primo è “Lascia stare i santi”, fuori concorso dell’etnomusicologo Ambrogio Sparagna e dal regista Gianfranco Pannone, che è stato anche presidente della giuria. Il film è un viaggio e uno sguardo particolare nel religioso e nel sacro attraverso tutta le regioni d’Italia e le immagini del secolo scorso. L’altro è “Le scandalose. Women in crime” di Gianfranco Giagni, in concorso nella sezione Italia Doc. Questo film ci racconta – sempre attraverso il montaggio di immagini dell’Istituto Luce – alcuni tra i più scabrosi delitti commessi da donne nei primi anni della nostra Repubblica, subito dopo la caduta del regime e della retorica fascista proprio sul femminile.

Due le sezioni in concorso: “Italia Doc” e “Casa Rossa Art Doc”, quest’ultimo riservato ai lavori riguardanti i diversi aspetti dell’arte. La prima sezione è stata vinta da “Sacre Balere” di Alessandro Stevanon. È la storia di Omar Codazzi che da carrozziere milanese diventa uno degli idoli delle balere in tutto il nord Italia. La menzione della giuria è andata “See you in Texas” di Vito Palmieri, che racconta della vicenda di Silvia che dal Trentino è messa davanti alla difficile decisione di abbandonare tutto per trasferirsi in Texas, dove perfezionare la disciplina equestre, il reining, della quale è appassionata e cui dedica duri allenamenti.

Nella sezione Casa Rossa Art Doc è risultato vincitore “Hidden Photos” di Davide Grotta, su due fotografi cambogiani. Uno giovane, Kim Hak, l’altro anziano, Nhem Ein, il fotografo ufficiale dei Khmer Rossi che ha scattato quattordicimila foto ad altrettante vittime del genocidio di Toul Sleng. La menzione speciale della giuria è andata a “Tomba del tuffatore”, di Yan Chen e Federico Francioni, un prezioso gioiello cinematografico, al di là dello stesso genere documentario, che partendo dall’immagine arcaica di un tuffatore senza tempo, percorre in una sintesi di stile e poesia d’immagine la costiera amalfitana fino alla verticalità sul mare del Golfo di Salerno di quella preziosa città di musica e arte che è Ravello. Assolutamente da non perdere la sua riproposizione – insieme agli lavori vincitori – al Cinema Farnese di Roma dall’8 all’11 giugno prossimi.

di Riccardo Tavani

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